IL BRIGANTE ED IL GENTILUOMO Il brigante e il gentiluomo II | Page 14
sguardo, non aveva chinato il capo o chiesto scusa.
Michele si sentiva aggredito da quegli occhi, sovrastato
da quella forza e dalla rabbia che sentiva bruciare dentro
quell’indocile contadino.
– Potrei ucciderlo – pensò; potrei ammazzarlo e nes-
suno oserebbe opporsi. Potrei farne quello che voglio,
farlo impiccare domani mattina o fucilare. Costui non è
niente di fronte a me, non è nessuno … è …; – Si rese
conto che stava prendendosi in giro: era la sua mente
che tentava disperatamente di darsi pace, quell’uomo
aveva qualcosa di diverso da tutti gli altri … era
possente, lo schiacciava, lo sovrastava, in quegli occhi
avvertiva una forza indomabile.
Pensò che qualcuno avrebbe dovuto fermarlo, ne sentì
il bisogno, vide in quella forza una minaccia travolgente,
pensò che dentro quel contadino ci fosse qualcosa di sel-
vaggio e ne rimase terrorizzato. Passarono degli istanti lun-
ghi, muti: poi, di botto, lo colpì: lo schiaffo sordo risuonò
nel salone vibrando nell’aria, il tempo si fermò; nessuno
osò fiatare. Rimasero lì: il principe immobile di fronte al
campagnolo e questi, che non aveva tentato di schivarlo,
non abbassò la testa ma continuò a fissarlo freddamente.
Le immagini iniziarono a sbiadire, il corpo a rinsec-
chirsi, diventare vecchio, duro, ma ancora lo schiaffo ri-
suonava in quella stanza, ancora quel volto …
Poi Michele aprì gli occhi mormorando: Caruso …
L’aveva di nuovo sognato; sentiva la gola riarsa; tutte le
ossa gli dolevano. Si alzò a fatica sentendo il sudore che gli
colava dappertutto, le lenzuola ne erano impregnate: –
chiamerò una serva – pensò, devo tirarmi su, non voglio
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