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Qui l’artista potrebbe dire col Tao " nel non fare di sé un centro raggiunge la perfezione " che significa anche essere presenti con distacco, aiutare lo svolgersi delle cose secondo la loro natura, evitando di disturbarle. L’I KING dice di se stesso " io contengo del nutrimento ", e Jung incalza, nella sua importante prefazione al Libro, " l’I KING insiste dappertutto sulla conoscenza di sé ". Dunque una sola lunga ammonizione a scrutare se stessi, avanti e indietro, " abisso sopra abisso ", come recita una linea dell’esagramma 29, L’Abissale. Ma sappiamo che ogni abisso è un fondo di risonanza… Sono visioni, queste di Lucio Maria Morra, fermentate dalla regione aerea e umida di vapori, quella che nasconde e rivela all’improvviso, ci sorprende prima di un sì o di un no. Inesprimibile con le parole è tutto ciò che qui partecipa della visione, con questo vibrato del colore che è anche nostalgia del colore. Quando un mondo di colori affiora ci chiede di specchiarci. E ancora: chroma vale come gamma cromatica e tono musicale insieme. Tono musicale, qui più che mai, voce dell’anima, voce che ogni volta, nell’incontro con gli esagrammi, riporta lo spartito alla sua origine, alla sorpresa iniziale. Le immagini di Lucio Maria Morra vivono (non finiscono di nascere) tra forma e non forma, tuttavia ben lontane dalle categorie abituali di "onirico" e di "informale". Non c’è sogno profondo né piena veglia, e forse nemmeno uno stadio intermedio sonnambolico. Tutto trascolora nel segno della mutazione, e tutto è danza, movimento cioè che lascia il minimo di tracce. Ogni opera d’arte autentica, in fondo, non ha altro da mostrare che se stessa, perciò non finisce di nascere. Visioni attraversate da una luce intemporale, luce del cuore. Visioni di un sentire sospeso, vibratile, che sfonda la storia individuale di noi stessi, quella storia minima che a noi sembra la vita, o almeno la fa retrocedere sulla soglia di uno stupore meditativo, fino a condurci verso uno stato più originario, archetipico. Dario Capello