Fare Diversamente! Mi racconti di quando... a Rho | Page 58

trovato ma è senza manico!” (evidentemente si riferiva al piccone). Elgiola era stato bravo sia a riparare la pompa e sia a fare il sondaggio per il futuro garzone. Caricò gli attrezzi sul furgoncino, e prima di andarsene disse: “Gino, vuoi venire con me a fare el trumbè?”. Mio nonno rimase un po’ sorpreso, ma poi accettò e fu la sua fortuna.

Così Gino cominciò a contribuire al fabbisogno della sua famiglia. Sebbene fra i fratelli ci fosse qualche diverbio, mai uno di loro aveva pensato di andarsene prima di sposarsi. Anche lontano dalle loro origini e senza la guida dei genitori, furono una famiglia unita e per questo molto stimata. Merito di Imerio che con fermezza lo voleva.

Dopo qualche anno, nel primo cassetto della credenza avevano una buona scorta di soldi, risparmiati con tanti sacrifici e privazioni. Poi i fratelli e sorelle, anno con anno si sposarono, e per creare una loro decorosa casa, utilizzarono tutti i risparmi e Gino rimase solo nella vecchia casa con il cassetto vuoto, però aveva un buon mestiere e un motorino lasciato in eredità dal fratello maggiore.

Questo l’avevo già letto nei precedenti racconti, però ve lo voglio raccontare lo stesso. Quando il nonno sposò la mia nonna, dovette fare debiti per il mobilio da un suo conoscente in Brianza e ogni giorno si impegnò fino a sera inoltrata e anche nei giorni di festa per saldare il debito. Di seguito, con volontà e

costanza, riuscì a creare un’ottima azienda di idraulica, istallando dei buoni impianti nei palazzi che sorgevano in ogni angolo di Rho, però molto merito va a mia nonna che badava alla casa e alla crescita di mio padre e mia zia senza distogliere il nonno dai lavori.

Qualche anno fa, dove mio nonno svolgeva l’attività di artigiano idraulico in un capannone nella zona industriale di Rho: acquistato con tanti sacrifici, facendo mugugnare la nonna poiché prima voleva una casa più grande e confortevole. Ogni mattino incontrava Zamir, un giovanotto di colore che andava in bicicletta a lavorare in una fonderia lì vicino. Un giorno Zamir si fermò nel laboratorio di mio nonno e gli disse che aveva bisogno di fare un impianto idraulico nella sua casa, lì per lì il nonno rimase restio nel dargli fiducia, ma poi gli venne nella mente che quando si sposò anche lui aveva avuto un credito da un suo conoscente e ogni fine mese d’inverno, con neve o pioggia, andava col motorino a saldare le rate del debito, quello che poi fece Zamir. Qualche tempo dopo mio nonno, era preoccupato di non incontrarlo come al solito, ma un giorno rimase sorpreso e orgoglioso di averlo visto alla guida di un’utilitaria.

Se oltre l’orizzonte, tutti gli emigrati vedessero solo lavoro e pane, chissà quanti Gino Zamir ci sarebbero a Rho.

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