Fare Diversamente! Mi racconti di quando... a Rho | Page 56

Di Serrubino c’era il cielo quasi uguale, con le rondini già indaffarate in cerca di cibo per i loro piccolini. La terra però era diversa e la linea dell’orizzonte era aggrovigliata su case e grandi fabbriche dove gli alti camini mandavano fumo nero a scarabocchiare il cielo. Mario (il ballerino) figlio dei Berta già ritornava dal lavoro: un bel giovanotto che accudiva le mucche, sognava una occupazione in fabbrica, perché l’odore della stalla gli rimaneva attaccato perfino alla pelle. Ma non aveva importanza per Giacomina che, dalla finestra, spostando la tendina gli mandava saluti e baci. Poi la nonna Pina andava a vuotare l’urinario nella latrina e nel grembiule teneva un po’ di grano, che dicendo “pio pio” spargeva alle galline nel pollaio. Il Luiscampe (addetto all’irrigazione dei campi), con il badile in spalla e in una mano l’innaffiatoio, andava a irrigare l’orto, con un po’ di acqua fresca risvegliava verdure e fiori di gelsomino e molte erbe aromatiche, che il soffio della brezza portava per tutto il cortile, un piacevole miscuglio di odori. Quando la luce nel cortile si face più chiara, su e giù per le scale cominciava un via vai di persone. La manovella della pompa che stava al centro del cortile, di continuo cambiava di mano, una volta riempiti i secchi d’acqua, c’era chi si affrettava a portarla in casa e chi paziente stava in attesa del proprio turno per usufruire della latrina, l’acqua gli serviva come sciacquone. Sui ciottoli della strada si sentivano il battere degli zoccoli dei cavalli e il cigolio delle ruote e dei carretti, poi il rombo di

qualche moto e il clacson del pullman, che annunciava il suo arrivo per portare gli operai al lavoro nelle fabbriche. Ma al mattino ad animare di più il cortile erano i ragazzi, che prima di andare a scuola facevano un gran baccano. I fratelli di Gino, avevano avuto difficoltà ad ambientarsi e inserirsi cogli altri lavoratori, a loro toccava sempre il lavoro peggiore e più faticoso, erano considerati - da molti - persone ignoranti, ci volle del tempo per farsi valere e Imerio, con tenacia diventò un ottimo carpentiere ferraiolo, Cecchino in campagna dopo qualche mese diventò il più attivo e Giulio secondo mandriano dopo Mario il ballerino. Anche per Gino ci volle qualche mese per fare amicizia con i ragazzi e inserirsi nei giochi creati da loro, e in quel grande cortile, cominciava di nuovo a essere felice.

Il gioco più divertente era quello della “lippa”: si prendeva un pezzetto di legno appuntito alle due estremità e con un manico di legno, si faceva saltellare. Dando una botta, la si mandava il più lontano possibile. Il ragazzo più bravo era quello che con cinque colpi al legno appuntito lo mandava più lontano. Qualche tiro andava a finire davanti all’uscio di casa e le nonnine, che divertite stavano osservando il gioco, fingendo di essere arrabbiate, gridavano: “Brutti monelli attenti a non rompere i vetri!”. Il gioco dei “sciurlit” all’inizio era molto emozionante: al passaggio del tram, sopranominato “El gamba de legn”, che sbuffando attraversava tutta Rho, per poi arrivare a Milano, sulle rotaie mettevano mettevano ad appiattire i tappi di metallo delle bottiglie, poi nel cortile con abilità li scagliavamo alla base di un muro, il tappo che rimaneva più vicino vinceva.

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