Fare Diversamente! Mi racconti di quando... a Rho | Page 45

Proprio sul ciglio della strada, due villette con grandi alberi: case di frontiera. A che paese appartenevano?

Dopo, un’estensione di campi fino all’orizzonte, l’unico che conoscessi.

Una sera mio padre, mio zio Battista e io tornavamo da Rho, dall’ ospedale, nella Seicento di papà. La nebbia era un’ovatta avvolgente, il mondo era solo l’interno della macchina; le parole preoccupate dei due uomini mi tenevano piegata in avanti tra i due sedili.

Da un lato lo spiazzo dei camion, dall’altro un canalino parallelo alla strada e quei campi, fino all’orizzonte: tutto era scomparso.

Eravamo un’astronave persa nello spazio bianco.

Alla fine lo zio Battista dovette scendere e camminando guidò mio padre per un bel pezzo.

Finalmente, l’Olona!

La strada saliva leggermente per superare il fiume. In quegli anni, l’acqua era bruna e correva portando con sé schiuma che si attardava tenace lungo le rive. C’erano alberi sulle sponde, addirittura un salice che si piegava, fedele alla sua natura, lambendo l’acqua torbida. La strada continuava curvando verso sinistra e lì, tra il fiume e la strada, c’era una vecchia casa.

Sulla destra, immediatamente prima della curva, una trattoria popolare, l’Isoletta.

Era un angolo quasi pittoresco, inquinato dal fiume maleodorante. Credo sia stato il primo motivo di rimpianto e di nostalgia del passato che io abbia vissuto, confusamente.

Qualche volta, negli autunni piovosi, l’acqua straripava, copriva le terre ed impediva di arrivare a Rho.

Dopo quella curva la strada correva di nuovo diritta per un po’. Sulla destra sempre zone industriali cintate, sulla sinistra sempre la campagna.

Fu proprio in questo pezzo di strada, ma nel senso contrario, che il mio inconscio di bambina scelse di fare iniziare uno degli incubi che ricordo ancora ora. Io ero da sola, inseguita da un cane nero non molto grande, ma con una bocca spaventosa, piena di denti acuminati, a metà tra il lupo e il pesce spada. Correvo e correvo, terrorizzata. Solo dopo aver superato l’Olona mi risvegliai, interrompendo il terribile sogno.

Dopo il breve rettilineo, di nuovo una curva, a destra. Solita cinta, fino al grande cancello della Montecatini, mentre sull’altro lato le case della periferia. Ce n’era una piccolissima e mal messa. L’aspettavo sempre sia perché significava che eravamo quasi arrivati, sia perché mi riempiva il cuore di pena l’evidente povertà dei suoi abitanti.

Ancora case, una addossata all’altra, sui due lati della strada, poi un pezzo senza più nulla, fino al Bozzente, altro corso d’acqua.

Qui, il vero inizio della città, con calma, in sordina.

C’era la casa dell’Enel dove abitava Nicoletta, mia futura compagna delle medie.

C’era la via Montello, dove viveva mia zia Pina, nel silenzio e nella parsimonia.

Poi si svoltava in Porta Ronca, nella vita cittadina, fatta di negozi, di voci, di presenze, finalmente a Rho.

MARINA BUSSI

Pregnana, 14 dicembre 2016

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