no, durante il festival BMotion
Danza 2015, che il 20 e 21 agosto si è svolto l’Atelier Building a
Dancehouse, per esplorare non
solo gli aspetti filosofici – dalla
nascita delle prime forme collaborative ai valori che hanno
ispirato i soci fondatori – ma anche quelli architettonici – dalle
case che hanno riciclato strutture preesistenti alle nuove esigenze costruttive.
Due giorni di continuo scambio
di idee ed esperienze tra direttori, artisti, architetti, curatori e
giornalisti per tracciare la storia
della case della danza, le difficoltà, gli obiettivi, ascoltando
esigenze, punti di vista e spunti
per nuove realtà.
Ma cos’è una Casa della Danza, una dancehouse? (come è
stata brandizzata: parola unica
senza acca maiuscola).
È un luogo di incontro, dedicato al rinnovamento e allo sviluppo della danza, che supporta
gli artisti favorendo ogni forma
collaborativa volta a promuove la danza in quanto arte, al
fine di creare professionisti migliori e trasmettere ai posteri un
bagaglio culturale multidisciplinare. Pura fantasia? Assolutamente no.
Ascoltando i partecipanti all’Atelier si intuiscono le difficoltà
che affrontano ogni giorno, i
continui problemi economici
e artistici, le peculiarità di ogni
paese, con tutte le problematiche legate ai tagli, alla politica,
all’eredità storica.
Ma emerge anche la determinazione di questi uomini e
donne, la passione e la necessità della danza, che porta ad
analizzare continuamente le
situazioni, ascoltare e cercare
opinioni diverse, confrontarsi
con colleghi, raccogliere esigenze, trovare soluzioni e proiettarsi nel futuro senza mai accontentarsi un solo istante dello
status quo raggiunto.
EDN è l’Utopìa della danza contemporanea.
Un network che unisce questi
incredibili talenti innovativi che
condividono la danza come
fenomeno transnazionale.
Una duplice missione, promuovere lo sviluppo professionale
dell’artista e della danza. Da
una parte avvalendosi di strutture concrete, di “case” appunto, come luoghi di produzione, ricerca e presentazione,
per supportare coreografi e artisti indipendenti; dall’altra fornendo un programma annuale di attività volte a insegnare,
educare e far partecipare il
pubblico locale, nazionale e
internazionale. Il tutto mantenendo la propria specificità ma
lavorando in modo orizzontale
per promuovere l’idea di un’
”altra Europa”, potenziando la
rilevanza della danza e assicurandole un “futuro sostenibile”.
Sono i fondatori ad aprire l’Atelier: John Ashford (Aerowaves), Bertram Müller (ex-EDN
President), Karene Lyngholm
(ex-EDN Chair). Emergono subito le difficoltà economiche
e i quesiti esistenziali, nonostante abbiano lavorato in tre
diversi territori. Il seme gettato
in Inghilterra, mentre Ashford
lavorava al consolidamento
e apertura del The Place e Richard Schweitzer dall’Austria
lo contattava per definire una
nuova “tanzhaus”.
Quasi ovunque esiste la Casa
dell’Opera, della Musica, del
Teatro, ma della Danza?
In Germania Müller affronta la
questione filosofica, dove solo
grazie a Pina Bausch la danza torna ad essere di tutti e a
sganciarsi dal veleno della propaganda. Si cerca quindi di
creare un luogo cosmopolita
per i freelancer che possa auto
mantenersi dal momento in cui
non sono previsti fondi per gli
artisti indipendenti.
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