Dance&Culture N°5/2015 | Page 57

no, durante il festival BMotion Danza 2015, che il 20 e 21 agosto si è svolto l’Atelier Building a Dancehouse, per esplorare non solo gli aspetti filosofici – dalla nascita delle prime forme collaborative ai valori che hanno ispirato i soci fondatori – ma anche quelli architettonici – dalle case che hanno riciclato strutture preesistenti alle nuove esigenze costruttive. Due giorni di continuo scambio di idee ed esperienze tra direttori, artisti, architetti, curatori e giornalisti per tracciare la storia della case della danza, le difficoltà, gli obiettivi, ascoltando esigenze, punti di vista e spunti per nuove realtà. Ma cos’è una Casa della Danza, una dancehouse? (come è stata brandizzata: parola unica senza acca maiuscola). È un luogo di incontro, dedicato al rinnovamento e allo sviluppo della danza, che supporta gli artisti favorendo ogni forma collaborativa volta a promuove la danza in quanto arte, al fine di creare professionisti migliori e trasmettere ai posteri un bagaglio culturale multidisciplinare. Pura fantasia? Assolutamente no. Ascoltando i partecipanti all’Atelier si intuiscono le difficoltà che affrontano ogni giorno, i continui problemi economici e artistici, le peculiarità di ogni paese, con tutte le problematiche legate ai tagli, alla politica, all’eredità storica. Ma emerge anche la determinazione di questi uomini e donne, la passione e la necessità della danza, che porta ad analizzare continuamente le situazioni, ascoltare e cercare opinioni diverse, confrontarsi con colleghi, raccogliere esigenze, trovare soluzioni e proiettarsi nel futuro senza mai accontentarsi un solo istante dello status quo raggiunto. EDN è l’Utopìa della danza contemporanea. Un network che unisce questi incredibili talenti innovativi che condividono la danza come fenomeno transnazionale. Una duplice missione, promuovere lo sviluppo professionale dell’artista e della danza. Da una parte avvalendosi di strutture concrete, di “case” appunto, come luoghi di produzione, ricerca e presentazione, per supportare coreografi e artisti indipendenti; dall’altra fornendo un programma annuale di attività volte a insegnare, educare e far partecipare il pubblico locale, nazionale e internazionale. Il tutto mantenendo la propria specificità ma lavorando in modo orizzontale per promuovere l’idea di un’ ”altra Europa”, potenziando la rilevanza della danza e assicurandole un “futuro sostenibile”. Sono i fondatori ad aprire l’Atelier: John Ashford (Aerowaves), Bertram Müller (ex-EDN President), Karene Lyngholm (ex-EDN Chair). Emergono subito le difficoltà economiche e i quesiti esistenziali, nonostante abbiano lavorato in tre diversi territori. Il seme gettato in Inghilterra, mentre Ashford lavorava al consolidamento e apertura del The Place e Richard Schweitzer dall’Austria lo contattava per definire una nuova “tanzhaus”. Quasi ovunque esiste la Casa dell’Opera, della Musica, del Teatro, ma della Danza? In Germania Müller affronta la questione filosofica, dove solo grazie a Pina Bausch la danza torna ad essere di tutti e a sganciarsi dal veleno della propaganda. Si cerca quindi di creare un luogo cosmopolita per i freelancer che possa auto mantenersi dal momento in cui non sono previsti fondi per gli artisti indipendenti. 57