Dance&Culture N°4-5-6/2016 D&C 4-5-6-16 | Page 32
devi lavorare sodo, però, lo
fai perché ti piace e anche
se alla sbarra da bambino mi
annoiavo, lo facevo perché
quello era il mio impegno. A
14 anni ho cominciato le le-
zioni di danza al mattino, alle
8.30... adesso non potrei fare
niente alle 8.30! e poi c’era la
scuola… erano delle giornate
piene, e mi è capitato, come
a tutti, di non andare a scuo-
la perché non ero preparato o
perché non mi ero svegliato. I
sacrifici ci sono ma non li senti
perché c’è grande passione,
queste due cose spesso van-
no insieme, ed è così che bi-
sogna presentarla alla gente,
sottolineando la passione. Se
non hai passione consiglio di
non farlo.
La crisi è venuta più tardi,
quando ero già professionista.
Ho avuto quel periodo in cui,
spesso, come tanti ballerini,
volevo essere perfetto. Sono
entrato in un circolo vizioso:
non riuscivo ad essere per-
fetto, lo spettacolo perfetto
non veniva quasi mai e non
ero mai contento. Ma era an-
che un periodo di forte pres-
sione. E poi forse mi ero an-
che fatto male, non ricordo,
comunque... in quel periodo
ho pensato che forse dovevo
smettere perché ero sempre
triste. Avevo, credo, 23 anni,
ero già professionista, ed è lì
che c’è stato uno scatto di
maturazione anche umana.
Cerco ancora di fare spetta-
coli perfetti, però se non mi
riesce non è importante... per-
ché alla fine uno spettacolo
perfetto può anche risultare
arido.
E’ stato qualcuno a farti ma-
turare questa convinzione o ci
sei arrivato da solo?
Ci si arriva a seconda delle tue
esperienze; ho parlato sicura-
mente con varie persone...so-
prattutto con mia moglie, che
all’epoca era la mia ragazza,
siamo sempre molto vicini, mi
ha aiutato molto. Un maestro
no…anche perché il maestro
cerca la perfezione… è stata
una questione di maturazione
umana.
Quand’è che hai sentito den-
tro di te quel raro momento in
cui il corpo era in equilibrio
perfetto, nel ritmo perfetto ed
hai capito che…wow, cosa ho
fatto! C’è uno spettacolo in
particolare?
E’ questo che volevo dire, che
quello a cui bisogna aspirare,
più che la perfezione, è forse
come dicono gli inglesi, essere
nella “zona”, che non è la per-
fezione tecnica ma è l’ essere
tutt’uno, la storia, la musica, il
corpo...è un momento raro ma
è una sensazione fantastica...
in particolare mi ricordo, un
terzo atto di Manon…
Se oggi ti si riconosce quello
che sei a livello mondiale è
perché hai trasmesso altro, al
di là della perfezione.
Non è che non bisogna aspi-
rare alla perfezione, tutti i bal-
lerini continuano a farlo, è un
obiettivo ma non può essere
la tua unica aspirazione… ci
sono moltri altri aspetti!
Un momento, uno spettacolo,
un episodio particolare della
tua vita artistica dove ritieni di
Federico Bonelli, Des Grieux, e Marianela Nuñez, Manon, nella Manon, coreografia di Kenneth
McMillan, © ROH, 2014.
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