Dance&Culture N°1-2-3/2017 D&C16-1-2-3-2017 | Page 21

pensata e adeguata agli arti- sti; detto questo c’è anche un risvolto della medaglia che io mi sento di non condividere appieno. La mia sofferenza sta nelle troppe produzioni che vanno in scena in un anno. Mi pare che ci sia più attenzione per la quantità rispetto alla qualità. Il ballerino è divenuto a sua insaputa coreografo, questa modalità, soprattutto mitte- leuropea, di mostrare ai co- reografi le proprie improvvi- sazioni ha fatto si che spesso il lavoro sia un mero copia incolla; altri sono più capaci nell’indirizzare ma il dispendio di energia intellettuale e fisica sono notevoli. Ti viene richie- sto talmente tanto da tutti che tu non hai più idee, il ballerino viene sfinito dal coreografo e gli viene trasferita una respon- sabilità che non dovrebbe essere la sua: il ballerino non può e non dovrebbe sostituirsi al coreografo. Quindi, vuoi dirci che non è tutto rose e fiori? Comprendo benissimo che, per chi non ha lavoro, quello che dichiaro sia un’eresia, ma anche in Germania si esige lo ‘sbigliettamento’, si chiedono i numeri e si deve essere forti a far fronte a tutte le aspettati- ve. Così, però, si diviene ope- rai e questo a me non piace. Stanchezza, sfinimento, ten- sione; alcuni colleghi, quando lasciano, hanno bisogno di un anno sabbatico per imparare ad amare nuovamente questo lavoro; so che mi considerate un privilegiato e sarò, forse, poco grato ma così è. Infatti, uno immagina che il mondo artistico fuori dall’Ita- lia sia un mondo dorato… Ci sono anche qui i punti di debolezza. Di contro siamo privilegiati per tutta una se- rie di garanzie che prima ho 21