Forse pretendiamo troppo da un luogo come questo dove, malgrado le pretenziose misure
minime riportate sul libretto di pesca, quasi tutte le settimane si susseguono gare su gare
alla trota. I partecipanti, oltre a catturare il “pronto pesca” appena immesso nel fiume, spesso
allamano anche quel poco di autoctono che dovrebbe perlomeno essere protetto, pesce che
viene spesso rilasciato senza il minimo rispetto provocandone spesso la morte. Questa è la
realtà palpabile, accettata e condivisa da una società che non ha nulla a che fare con la
nostra passione improntata al rispetto dell’ambiente e della vita. Che dire poi delle associazioni
che organizzano questi scempi e di chi è preposto alla sorveglianza ed alla tutela della pesca,
che pur presente a queste gare, giustifica e non condanna, questi comportamenti.
Secondo me da queste parti esiste ormai una rassegnazione diffusa, un’accettazione tacita, una
condivisione delle malefatte che culmina normalmente con il prelievo di tutto ciò che rimane in
acqua appena terminate le gare.
E noi veniamo fin qui a pescare, noi gli estranei, i fuori posto, invasori in queste località
frequentate dai “locali”, convinti che tutto ciò che risiede e vive in queste acque, non sia altro
che a loro uso esclusivo, … pesci su cui esercitare ogni possibile pressione e scempio.
Dopo qualche ora, raccolte armi e bagagli, torniamo inermi verso casa riflettendo su questa
uscita che ci ha lasciato molto amaro in bocca non tanto perché come altre volte, è stata poco
propizia, ma proprio per aver “perso tempo prezioso” in una realtà anomala e inaccettabile.
Natalino Costa