Comunicare l'Archeologia. Metodo ed esperienze. | Page 21
Cap. 4
IL CASO DELL'ARCHEOLOGIA SUBACQUEA
Massimo Lucano
L’archeologia subacquea, forse ancor più
dell’archeologia di terra, è spesso vittima di
notizie fuorvianti e distorte dai media che
perpetua luoghi comuni: il fascino, il mistero
di una materia mescolando realtà e leggenda,
con l’accentuazione di aspetti considerati
avventurosi, a scapito di elementi quali la
scientificità,
la
preparazione
tecnica
altamente specializzata, gli strumenti tecnici
(l’utilizzo di attrezzature che permettano di
respirare in un ambiente che non è il nostro e
che proprio per questo viene caricato di un
simbolo
dell’”avventura”),
la
ricerca
scientifica, vista come una caccia al tesoro o
nel migliore dei casi del bell’oggetto, senza
distinguere quindi la figura dell’archeologo
dal cacciatore di tesori.
La spettacolarizzazione delle immagini legata
a stereotipi di stampo hollywoodiano (il
recupero di un’anfora dalla sabbia mostrata
come un trofeo, ad esempio) ha contribuito a
creare l’idea che tutto ciò “è bello e facile,
quindi tutti lo possono fare”. In poche parole
non viene evidenziato il fatto che in realtà si
tratta di un lavoro basato su metodi scientifici
acquisiti con anni di studio universitario e sul
campo, il cui fine è la ricostruzione storica.
Bisogna ammettere che non è sempre tutta
colpa dei media: a volte primo responsabile è
proprio chi dovrebbe tutelare il patrimonio
archeologico a lasciarsi prendere dalla smania
di essere sotto i riflettori. Un caso esemplare:
il ritrovamento nel 1992 al largo della Puglia di
un carico di 150 frammenti in bronzo di statue
colossali e il recupero di questi avvenuto
nientemeno che alla presenza dell’allora
Ministro Ronchey e del Direttore Generale
Sisinni. Molto clamore per una scoperta che
ha fornito (purtroppo) pochi dati scientifici: il
relitto non è mai stato trovato, non c’è una
cronologia certa né vi sono ipotesi sicure sulla
natura del giacimento (era un tentativo
dettato da volontà di auto referenziazione?).
In un passato meno recente la situazione non
cambia: il ritrovamento delle navi utilizzate
dall’imperatore Caligola, o secondo altri da
Nerone, sul fondale del lago di Nemi e
recuperate tramite il prosciugamento parziale
del lago e il ripristino dei canali immissari (di
epoca romana !) per regolamentare il flusso
dell’acqua, anziché evidenziare l’enorme
lavoro ingegneristico e la professionalità di chi
ne aveva consentito il recupero è stato
sfruttato a scopi celebrativi del Regime
Fascista che ne aveva promosso il recupero ( e
distrutte da un terribile incendio durante la
Seconda Guerra Mondiale).
Notizie di ritrovamenti subacquei sono poi
stranamente concentrati durante il periodo
estivo (vista la mancanza di altre notizie tutto
fa brodo) e, appunto, più all’insegna del
sensazionalismo.
Ciò che sorprende maggiormente, inoltre, è
che notizie fornite in maniera così scorretta e
semplicistica non vengano smentite dagli
esperti: è inutile lamentarsi del fatto che i
media
distorcono
l’immagine
della
professione dell’archeologo se poi non si fa
nulla per impedirlo, non fosse altro che per un
principio di eticità dell’informazione,
espressione di una società civile: il diritto ad
essere informato correttamente.
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