INDUSTRY 4.0
Se il cuore della questione è prima di
tutto culturale è possibile che i tempi
per una netta definizione di un nuovo
piano industriale 4.0 non siano brevis-
simi. Ritiene invece che il contesto ita-
liano sia maturo per una rapida evolu-
zione?
Penso che l’Italia potrà giocare bene le sue
carte se si riuscirà a fare un po’ più siste-
ma di quanto non sia accaduto in passato.
La dimensione conta: nel 4.0 non possiamo
ignorare questo aspetto. E da questo pun-
to di vista il nostro tessuto industriale è oggi
in grado di esprimere molte eccellenze, ma
le imprese sono medio-piccole con risorse
limitate da dedicare a un tema così globa-
lizzante come quello dello smart manufac-
turing. Pertanto non vedo tempi rapidi per
l’Italia, semmai li intravedo più lunghi a cau-
sa di questo ulteriore passaggio verso l’inte-
grazione delle aziende.
Nel nostro Paese, in generale, la situa-
zione del tessuto industriale sembra
presentare luci e ombre. Ad aspetti po-
sitivi quali capacità imprenditoriale e
competenze tecniche di alta qualità e
a basso costo si contrappongono ele-
menti critici come l’assenza di grandi
player e system integrator nazionali, e
competenze tecniche non sempre suffi-
cienti. Qual è la sua analisi a proposito?
Quando si dice che Industria 4.0 prevede un
cambio di paradigma più che una rivoluzio-
ne tecnologica si afferma un concetto che in
Italia è ancora più vero che in altri paesi. Noi
dobbiamo cambiare anche nella capacità di
collaborare e di aggregarci per aumentare
la dimensione media d’impresa perché pur-
troppo i grandi player col tempo sono ve-
13
nuti progressivamente a mancare. Abbiamo
quindi sul tavolo un doppio problema cultu-
rale: la propensione delle imprese a collabo-
rare e il passaggio al 4.0. Sulle competenze
tecniche invece dissento in quanto a mio
parere siamo spesso più bravi e preparati di
altri.