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riparazioni-installazioni (17), commercio (15)
e hospitalty & travel (15). La motivazione
principale è la limitata applicabilità nella loro
realtà, come dichiara il 53 per cento delle
aziende, seguita dal disinteresse da parte
del management (11) e dal limitato grado di
digitalizzazione dei processi (7).
La pubblica amministrazione
Nonostante gli apprezzabili sforzi a livello
normativo (l’approvazione della legge, le
iniziative del dipartimento Pari Opportunità
e la direttiva della riforma Madia), lo smart
working nella pubblica amministrazione
è solo all’inizio. Solo il 5 per cento delle
pubbliche amministrazioni italiane coinvolte
nella ricerca ha progetti strutturati di smart
working, mentre un altro 4 per cento dice
di praticarlo informalmente. A differenza di
quanto avviene nelle PMI sono in pochi a
non conoscere per nulla il concetto di smart
working (3 per cento) e quasi la metà del
campione (48) dichiara interesse per una
prossima introduzione. Al tempo stesso, il
32 per cento delle pubbliche amministrazioni
ammette esplicitamente assenza di interesse
o di non sapere se sarà introdotta in futuro.
Le motivazioni principali sono la percezione
che non si possa applicare alla propria realtà
(66 per cento) e la percezione di carenze di
normativa.
“Come nel settore privato, nel pubblico
sono gli enti di maggiori dimensioni i più
propensi ad approcciare questo nuovo
modo di lavorare: il 67 per cento degli enti
che dichiara di avere già iniziative, formali
o informali o di volerle introdurre entro i
prossimi 12 mesi, occupa oltre 100 addetti –
sostiene Corso –. Le iniziative presenti, però,
molto spesso sono in fase sperimentale e
vedono il coinvolgimento di una popolazione
molto contenuta, di solo poche unità. Il gap
maggiore con la grande impresa si riscontra
nell’adeguatezza di dotazione tecnologica
per il lavoro da remoto: solo il 58 per
cento degli enti pubblici ha una dotazione
adeguata, contro l’88 delle grandi aziende”.