EDITORIALE
N
ovembre e dicembre sono stati due mesi significativi per
due importanti democrazie.
La prima, quella americana, ha risposto in una maniera
incomprensibile per molti europei eleggendo Donald Trump.
In verità il verdetto delle urne è stato perfettamente coerente
con il sogno americano e con il desiderio di recuperare una
supremazia che è andata sbiadendo negli ultimi anni.
Non posso nascondere le mie perplessità e anche qualche
timore, ma volendo essere onesti fino in fondo, non avrei
potuto affermare di non avere dubbi né perplessità nel caso
fosse stata eletta Hillary Clinton. D’altra parte siamo in una
fase politica nella quale l’insoddisfazione dovuta alla crisi del
lavoro, ai flussi migratori e alla mancanza di cred ibilità della
classe dirigente ha portato alla ribalta coloro che hanno saputo
comprendere gli umori della “pancia” del popolo e cavalcare il
malcontento. L’abbiamo visto in occasione della Brexit, ed è
emerso in Austria, Francia, Germania.
È probabile che il referendum del 4 dicembre non sia stato
interpretato per quello che doveva essere, ma per come i
partiti hanno cercato di connotarlo. Pochi, troppo pochi, si
sono avventurati nella lettura delle variazioni da apportare alla
Costituzione, e ci si è limitati a identificare alcuni fattori al fine
di indirizzare il voto a favore o contro qualcuno. Personalmente
riconosco il valore del cambiamento e del rinnovamento, ma
mi sono posto una domanda: è la nostra Costituzione troppo
vecchia o siamo noi che non la utilizziamo al meglio? Come
spesso accade non è lo strumento la causa di errori, ma il
modo in cui lo si utilizza.
Adesso si apre un nuovo periodo di campagna elettorale, ma
forse non era questo che gli Italiani volevano.
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