City Life Magazine 26 | Page 34

34 CITY LIFE MAGAZINE N.26 Per cercare di rispondere a questa domanda, vediamo di inquadrare le cose da un punto di vista storico. La smart city è figlia della quarta (o, secondo alcuni, della terza) rivoluzione industriale, caratterizzata dalla diffusione di sistemi informatici e cyber-fisici interconnessi, che stiamo vivendo proprio in questi anni. Storicamente, ogni rivoluzione industriale ha visto uno spostamento di lavoratori fra i vari settori economici: la prima, iniziata nell’Inghilterra del XVIII secolo e poi diffusasi in tutti gli altri Paesi del mondo occidentale, sotto l’aspetto sociale è stata caratterizzata dal fatto che grandi masse di lavoratori hanno lasciato il settore primario, ovvero l’attività agricola, per andare a lavorare nelle fabbriche. Questa tendenza si è ulteriormente accentuata con l’avvento della seconda rivoluzione industriale, databile approssimativamente nella seconda metà del XIX secolo, caratterizzata dall’impiego massiccio dell’elettricità che sostituì il vapore nell’azionamento delle macchine industriali. Il risultato finale fu che, se nel Settecento oltre il 90% della popolazione lavorava nel settore agricolo, due secoli dopo tale valore si ridusse a pochi punti percentuali. Quella che viene definita “terza rivoluzione industriale” è stata caratterizzata dall’introduzione nel mondo produttivo dei calcolatori e dei sistemi automatici in generale: essa iniziò negli anni Cinquanta del secolo scorso e si è prolungata fino quasi ai giorni nostri. L’introduzione dell’automazione basata sull’elettronica rese superflui numerosi lavoratori: ci fu quindi un esubero dei cosiddetti “colletti blu” e un assottigliamento della percentuale di occupati del settore industriale; d’altra parte il settore terziario (ovvero dei servizi) vide una notevole crescita degli occupati divenendo il settore economico predominante, in termini percentuali, in tutti i Paesi sviluppati. Storicamente, tutto andò bene finché nel mondo occidentale si mantenne una situazione di piena occupazione, garantita per l’appunto dal fatto che il settore dei servizi assorbiva quantità crescenti di l avoratori. Verso la fine del secolo scorso, tuttavia, le cose cominciarono a cambiare: da un lato i progressi tecnici sempre più spinti nel campo dell’automazione, con la diffusione dei robot, del Personal Computer e di Internet, dall’altro le tecniche di organizzazione aziendale sempre più efficienti (ad esempio, la “lean manufacturing”), resero superflui anche molti lavoratori appartenenti alla fascia impiegatizia (i cosiddetti “colletti bianchi”), che si trovarono così in condizioni di disoccupazione, senza che nel frattempo vi fosse un altro settore che li potesse assorbire. Tale situazione fu ben analizzata dall’economista americano Jeremy Rifkin in un famoso saggio del 1995 intitolato “La fine del lavoro. Il declino della forza lavoro globale e l’avvento dell’era post-mercato”. In tale opera l’autore esponeva la tesi che i posti di lavoro perduti a causa dell’automazione e delle nuove metodologie di organizzazione della produzione non vengono completamente compensati dalla necessità di nuovo personale più specializzato e si assiste quindi a una perdita netta di posti di lavoro. Nonostante questa analisi, Rifkin nella sua opera manteneva una visione ottimistica del futuro, prevedendo che soluzioni a tale problema potessero venire da un lato nella riduzione dell’orario di lavoro a parità di compenso, dall’altra nello sviluppo del settore no-profit. A distanza di vent’anni, si deve purtroppo constatare che le previsioni ottimistiche di Rifkin non si sono realizzate, principalmente a causa del fenomeno della globalizzazione, che ha comportato un forte incremento della presenza di realtà produttive e dell’offerta di servizi in Paesi non appartenenti al mondo occidentale, innescando così una competizione al ribasso sul costo del lavoro e una tendenza esasperata al miglioramento della produttività, rendendo pertanto utopistica la possibilità di una riduzione dell’orario di lavoro a parità di retribuzione. Veniamo ora ai giorni nostri e alla quarta rivoluzione industriale, quella dei sistemi cyber-fisici interconnessi, dell’Internet of Things, della robotica di servizio. Dal punto di vista della situazione occupazionale, l’elemento