riduzione-obiettivo. I benefici più apprezzabili
si avrebbero nel segmento terziario (con un
contributo compreso tra il 15% e il 43% del
risparmio-obiettivo) ed industriale (tra il 12% e
il 36%).
Sul fronte ambientale, le minori emissioni di
CO2 associate alla crescente diffusione delle
Energy Community, soprattutto nei segmenti
industriale e residenziale, potrebbero attestarsi
nel complesso tra 3,6 (nello scenario al 5%) e
11 milioni di tonnellate all’anno (nello scenario
al 15%), con un risparmio sul costo della CO2
a valori correnti, compreso tra i 26 e i 78 milioni
di Euro all’anno.
Per gli utenti finali facenti parte delle Energy
Community, il beneficio economico7 a livello
aggregato è quantificabile tra 2 e 6 miliardi di
Euro all’anno, sempre avendo a riferimento la
forbice tra lo scenario di penetrazione al 5%
e quello al 15%. Tra i settori, sono particolarmente apprezzabili gli impatti per il comparto
industriale: tra 1,4 e 4,3 miliardi di Euro all’anno.
Il paradigma Energy Community può portare
benefici strutturali anche per il sistema elettrico
in termini di: 1) riduzione dei picchi di domanda
(peak shaving) nelle ore diurne; 2) spostamento del carico (load shifting) per la gestione
degli stessi8; 3) riduzione – in presenza di
stoccaggio – della variabilità dell’impatto delle
Energy Community sul funzionamento della
borsa elettrica. Gli effetti sono rappresentanti
nella figura successiva.
Quali leve e modelli per la nascita delle
Energy Community: alcune esperienze
dall’Europa
Le Energy Community sono una innovazione di
sistema e di mercato, secondo un paradigma
che richiede l’apporto di molteplici attori.
Per individuare le leve che sono state utilizzate per abilitare la diffusione delle Energy
Community all’estero, abbiamo analizzato le
esperienze di Germania, Danimarca e Regno
Unito9 e un caso di studio in Francia (progetto
pilota GreenLys10).
In queste realtà, il concetto di Energy Community non è formalmente recepito nelle relative
politiche, ma sono numerose le attività che, a
vario titolo, sviluppano e agevolano la cooperazione di più soggetti attorno ai temi energetici.
Nello specifico, pur non esistendo un modello
univoco di riferimento per la diffusione delle
Energy Community, è possibile identificare sei
dimensioni (“driver”), la cui presenza – secondo
combinazioni e intensità diverse da caso a
caso – rappresenta un elemento ricorrente:
1. Il sistema di finanziamento, cioè la presenza
di fondi di garanzia statale, la capacità degli
investitori istituzionali di prezzare l’investimento e la recettività del sistema creditizio11.
2. La capacità di gestione della generazione
distribuita, con riferimento all’adeguatezza
dei sistemi di distribuzione e trasmissione
dell’energia elettrica e dell’impianto regolatorio12.
3. La diffusione della generazione distribuita,
valutata in termini di incidenza e capillarità
della generazione distribuita da fonti rinnovabili e non.
4. Il quadro normativo per le Energy Community, che attiene alla definizione di regole
chiare per l’individuazione di responsabilità, di un sistema incentivante e del ruolo
di utility, autorità locali e consumatori13.
5. La comunicazione delle Energy Community
come strumento per superare il cosiddetto
effetto NIMBY (“Non In My Backyard”), cioè
la resistenza di determinati gruppi organizzati alla realizzazione di infrastrutture, non
solo energetiche.
6. La sensibilità dei cittadini verso i temi
ambientali e il loro coinvolgimento proattivo14.
La figura seguente è una rappresentazione
qualitativa di questi driver e della loro importanza per lo sviluppo delle Energy Community
nei vari casi-Paese analizzati; è riportata anche
una comparazione alla situazione attuale dell’Italia.
L’analisi delle esperienze estere, permette
anche di verificare che non esiste un modello
di riferimento per la nascita delle Energy
Community. Queste possono infatti svilupparsi
dal “basso” o dall’“alto”, secondo schemi: