City Life Magazine 22 | Page 17

riduzione-obiettivo. I benefici più apprezzabili si avrebbero nel segmento terziario (con un contributo compreso tra il 15% e il 43% del risparmio-obiettivo) ed industriale (tra il 12% e il 36%). Sul fronte ambientale, le minori emissioni di CO2 associate alla crescente diffusione delle Energy Community, soprattutto nei segmenti industriale e residenziale, potrebbero attestarsi nel complesso tra 3,6 (nello scenario al 5%) e 11 milioni di tonnellate all’anno (nello scenario al 15%), con un risparmio sul costo della CO2 a valori correnti, compreso tra i 26 e i 78 milioni di Euro all’anno. Per gli utenti finali facenti parte delle Energy Community, il beneficio economico7 a livello aggregato è quantificabile tra 2 e 6 miliardi di Euro all’anno, sempre avendo a riferimento la forbice tra lo scenario di penetrazione al 5% e quello al 15%. Tra i settori, sono particolarmente apprezzabili gli impatti per il comparto industriale: tra 1,4 e 4,3 miliardi di Euro all’anno. Il paradigma Energy Community può portare benefici strutturali anche per il sistema elettrico in termini di: 1) riduzione dei picchi di domanda (peak shaving) nelle ore diurne; 2) spostamento del carico (load shifting) per la gestione degli stessi8; 3) riduzione – in presenza di stoccaggio – della variabilità dell’impatto delle Energy Community sul funzionamento della borsa elettrica. Gli effetti sono rappresentanti nella figura successiva. Quali leve e modelli per la nascita delle Energy Community: alcune esperienze dall’Europa Le Energy Community sono una innovazione di sistema e di mercato, secondo un paradigma che richiede l’apporto di molteplici attori. Per individuare le leve che sono state utilizzate per abilitare la diffusione delle Energy Community all’estero, abbiamo analizzato le esperienze di Germania, Danimarca e Regno Unito9 e un caso di studio in Francia (progetto pilota GreenLys10). In queste realtà, il concetto di Energy Community non è formalmente recepito nelle relative politiche, ma sono numerose le attività che, a vario titolo, sviluppano e agevolano la cooperazione di più soggetti attorno ai temi energetici. Nello specifico, pur non esistendo un modello univoco di riferimento per la diffusione delle Energy Community, è possibile identificare sei dimensioni (“driver”), la cui presenza – secondo combinazioni e intensità diverse da caso a caso – rappresenta un elemento ricorrente: 1. Il sistema di finanziamento, cioè la presenza di fondi di garanzia statale, la capacità degli investitori istituzionali di prezzare l’investimento e la recettività del sistema creditizio11. 2. La capacità di gestione della generazione distribuita, con riferimento all’adeguatezza dei sistemi di distribuzione e trasmissione dell’energia elettrica e dell’impianto regolatorio12. 3. La diffusione della generazione distribuita, valutata in termini di incidenza e capillarità della generazione distribuita da fonti rinnovabili e non. 4. Il quadro normativo per le Energy Community, che attiene alla definizione di regole chiare per l’individuazione di responsabilità, di un sistema incentivante e del ruolo di utility, autorità locali e consumatori13. 5. La comunicazione delle Energy Community come strumento per superare il cosiddetto effetto NIMBY (“Non In My Backyard”), cioè la resistenza di determinati gruppi organizzati alla realizzazione di infrastrutture, non solo energetiche. 6. La sensibilità dei cittadini verso i temi ambientali e il loro coinvolgimento proattivo14. La figura seguente è una rappresentazione qualitativa di questi driver e della loro importanza per lo sviluppo delle Energy Community nei vari casi-Paese analizzati; è riportata anche una comparazione alla situazione attuale dell’Italia. L’analisi delle esperienze estere, permette anche di verificare che non esiste un modello di riferimento per la nascita delle Energy Community. Queste possono infatti svilupparsi dal “basso” o dall’“alto”, secondo schemi: