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chia, Oman, Indonesia, Slovenia, Regno
Unito e quello commerciale della Coca
Cola. Un poco più indietro (60 per cento circa) sono i lavori di demolizione delle
strutture di Bahrain, Angola, Brasile, Moldovia, Argentina, Francia, Giappone, Russia,
Qatar, Marocco, Cile, Kazakhistan, Emirati
Arabi, Azerbaijan, Belgio, Irlanda, Biodiversità, Federalimentari, Alitalia, Ferrero e il
ristorante del Belgio. Diciotto sono invece i
padiglioni che attendono di essere demoliti
o di avere un’altra destinazione: Estonia,
Turkmenistan, Romania, Vietnam, Sudan e
Caritas, Duomo, Don Bosco, Kip, McDonald’s, Joomo, New Holland, Waa, Technogym, Enel, Intesa, Oviesse e Coin. Caso a
parte è il destino del padiglione del Nepal,
abbandonato al termine di Expo e rimasto
pressoché intatto. In attesa di destinazione sono i nove cluster, i padiglioni lungo il
Cardo e quello di Slow Food. Stessa sorte
per due altri importanti edifici come il Padiglione Zero e l’Expo Centre: qualora Arexpo
decidesse di non servirsene, si prevede uno
smantellamento progressivo nel tempo. Destinati a rimanere, così come è stato deciso
fin dall’origine, Palazzo Italia, Lake Arena,
l’Open-Air Theatre e cascina Triulza.
Infine, nell’operazione di dismantling ci
sono anche le incognite rappresentate da
una serie di padiglioni la cui sorte è ancora incerta e appesa alle ipotesi di riutilizzo
temporaneo del fast post. Stiamo parlando di 17 padiglioni, sia dei paesi ospiti sia
commerciali, oltre ad alcuni edifici a stecca
che avevano ospitato ristoranti, bar e servizi vari, il cui destino pare legato all’ [