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Mediamente ogni auto in car sharing può
toglierne 13-14 dalla strada. Tuttavia, si stima
che in contesti sociali ad alta concentrazione
di vetture, come quello italiano, ovvero ad alta
densità abitativa come le megalopoli asiatiche,
il sistema dell’auto condivisa implementato
su grande scala possa arrivare addirittura a
sostituire oltre 30 veicoli. Un simile scenario
trova giustificazione nel fatto che la popolazione
è sempre più concentrata nelle città e nel
loro hinterland e che quindi il 70% dei viaggi
avviene nell’area metropolitana per una di
distanza di 10 Km. Discorso diverso riguarda
il mondo rurale, ovvero quello dei trasporti
di lunga percorrenza; entrambi i casi sono,
però, una minoranza. Al contrario nel contesto
urbano, grazie al car sharing, che presto
potrebbe divenire scooter e cycle sharing,
la rivoluzione potrebbe estendersi a tutti i
mezzi del trasporto privato cittadino, salvando
così le nostre fragilissime città d’arte che in
molti casi propongono ancora un’urbanistica
medievale. In questo specifico contesto, tutto
italico, car sharing non vuol dire solo inquinare
meno, quanto piuttosto tornare a guadagnare
spazio in città che non possono crescere
nella loro fisionomia strutturale, perché già
completamente delineata dalla fine degli anni
’50. Spazi che possono tornare alle persone
migliorando la qualità della vita dell’intero
corpo urbano, con costi di realizzazione per le
amministrazioni molto modesti: semplicemente
girano meno auto e quindi servono meno
parcheggi.
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Se in Italia il fenomeno desta inattese sorprese,
in Europa – prevalentemente Germania, Francia
e Regno Unito – dove le Amministrazioni
locali sono generalmente più attente e serie di
quelle italiane, il fenomeno ha da tempo preso
piede e si è diffuso con evidente successo,
registrandosi oltre 500.000 iscritti al car sharing
e 13.000 vetture a disposizione. In Francia, il
successo di Autolib nell’Île de France, un’area
di 12.000 km quadrati con 1281 comuni e 12
mln di abitanti -– dove mezzi pubblici efficienti
non mancano – ha portato a una riduzione del
parco auto privato di ben 22.500 macchine,
equivalenti a 164 milioni di chilometri percorsi
in un anno. Persino negli USA, tradizionale
patria della vettura privata e della relativa vita
cittadina basata su di essa – basti ricordare il
Drive in, quello autentico, non la trasmissione
televisiva degli anni ’80 – il car sharing si
sta rapidamente imponendo: l’anno scorso,
Avis, la multinazionale dell’autonoleggio, per
comprare Zipcar, azienda leader del car sharing
in America, è stata disposta a sborsare quasi
500 milioni di dollari, pagando il 49% di plus
valore per ogni azione, a riprova delle rimarcate
attese in ordine alla rapida crescita della
domanda del settore. Probabilmente la chiave
interpretativa per comprendere il fenomeno e
valutarne la durevolezza nel tempo, va ricercata
nell’aspetto economico: sostanzialmente il
car sharing permette di realizzare nell’arco di
qualche stagione e/o di un anno o due – molto
dipende dall’intensità d’uso che la famiglia o il
singolo fanno del mezzo a noleggio – risparmi