ArchitettiRimini (2005/2009) N. 6 - 6 ciò che fai - 2005 (2007)

F Tariffa regime Libero - Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale 70% DCB Rimini - valida dal 25/02/2005 6Ci òCh eFai Notiziario bimestrale dell'Ordine A.P.P.C. della provincia di Rimini novembre/dicembre 2005 NUOVA SERIE Sommario Cupioli Salucci e Sirotti incontrano Poletti Zaoli contro i passatisti Baccolini sulla storia del Restauro Tisselli sui Concorsi di stimolo culturale, di nuovo arricchimento della vita sociale dei cittadini e dell’offerta di servizi all’economia turistica (proprio in quegli anni si cominciava a pensare che la città turistica non dovesse essere confinata a mare del tracciato ferroviario, ma dovesse comprendere anche la città storica). Relativamente all’edificio del Teatro, che doveva conservare l’uso storico ed eventualmente prevedere funzioni di supporto, il concorso era aperto a tutte le istanze ed idee progettuali: sia alla conservazione della porzione esistente ed alla realizzazione di un edificio originale sulla parte distrutta dalla guerra, sia alla riproposizione dell’opera del Poletti “com’era e dov’era”. Come noto al Concorso, di livello nazionale, parteciparono poco meno di 150 gruppi. Il gruppo giudicato vincitore da una commissione costituita da membri di alto valore culturale e specializzazione fu quello con Capogruppo Adolfo Natalini, che aveva presentato un interessante e ben calibrato progetto di costruzione di un nuovo edificio a completamento della parte ancora esistente del Teatro Galli, legato al tessuto urbano, sociale ed economico cittadino con una serie di interventi sulla piazza Malatesta ed anche disseminati nelle principali polarità della città. Fra le idee concorrenti era presente anche quella che proponeva il ripristino del Teatro polettiano sulla base di disegni originali, di documentazione […] che nelle aggiunte che si dimostrassero necessarie, o per ottenere il consolidamento, o per raggiungere lo scopo di una reintegrazione totale o parziale, o per la pratica utilizzazione del monumento, il criterio essenziale da seguirsi debba essere, oltre a quello di limitare tali elementi nuovi al minimo possibile, anche quello di dare ad essi un carattere di nuda semplicità e di rispondenza allo schema costruttivo; e che solo possa ammettersi in stile similare la continuazione di linee esistenti nei casi in cui si tratti di espressioni geometriche prive di individualità decorativa; […] che in ogni caso debbano siffatte aggiunte essere accuratamente ed evidentemente designate e con l’impiego di materiale diverso dal primitivo,o con l’adozione di cornici di inviluppo, semplici e prive di intagli, o con l’applicazione di sigle o di epigrafi, per modo che mai un restauro eseguito possa trarre in inganno gli studiosi e rappresentare la falsificazione di un documento storico. […] Ugolini & M. Monroe 4 L’ ”eterno” dibattito aperto sul Teatro Poletti e sui Concorsi di architettura dà l'idea che ormai si faccia solo accademia e viene da domandarsi se ciò dipenda dal fatto che il dibattito è uscito dalle sfere specialistiche per finire nelle mani di una cittadinanza che forse non è ancora sufficientemente preparata, per cui è il caso di fare una panoramica sul restauro, poiché l'intervento sul Teatro è restauro, così come la scelta del luogo è urbanistica e restauro della Città. Morris afferma che la progettazione non può fondarsi sulla imitazione dell’uno o dell’altro stile del passato, ma deve intendersi come un "guardare avanti". Ma quando si deve intervenire in un vecchio edificio che per le sue caratteristiche è da considerare storico, nelle aggiuntesi si deve imitare lo stile o guardare verso il futuro? Alcuni architetti del passato, come Viollet Le Duc, hanno preferito l’imitazione mimetica, altri, come il Boito, hanno preferito conservare l’esistente e differenziare il nuovo. Certo è che, dopo il Boito e le Carte del Esemplari europei da Tognoloni restauro, sembra inaccettabile la ricostruzione nello “stile”, che per quanto sia ben fatta difficilmente inganna un occhio esperto, suonando come una moneta falsa per un numismatico; sicchè non si dovrebbe più porre tale problema per l'eccezione bensì per la generalità, quale quella che ha caratterizzato la città di Varsavia che nel dopo guerra è stata interamente ricostruita come era, sulla scorta dei disegni di rilievo conservati presso la facoltà di architettura e con l’aiuto di alcuni quadri del Canaletto, per cui gli edifici rifatti non suonano più come monete false ma assumono la caratteristica di una intera anomala collezione, acquisendo pertanto notevole interesse. Oggi è opportuno far vedere chiaramente ciò che viene fatto, mediante la distinzione di stile, o di materiale, o di fattezza o datando il nuovo. E’ così che si deve intervenire nei vecchi edifici senza distruggere o falsare ciò che è rimasto di originale. L’accostamento di stili e materiali apporta una maggiore chiarezza e leggibilità dell’edificio, come del quartiere o della città. Ne accresce il piacere visivo, potendo guardare con serenità e senza sospetto ciò che è romanico, gotico, Cenni sul Restauro Teatri rinati di Turci Focchi all’occhiello Q ualcuno racconta che, talvolta, alcune persone non più presenti fra noi ricompaiano per qualche motivo nei luoghi dove hanno realizzato un’importante opera o vissuto un grande amore. Meglio ancora se entrambe le cose. Fu così che quel giorno di novembre, incontrammo in Piazza Malatesta Luigi Poletti (1792-1869), in vita architetto, che in questa città lavorò (suo il progetto del teatro) ed amò (la nobildonna Adele Graziani Cisterni). Era lì spaesato, che vagava in mezzo alle auto parcheggiate intorno a quello che rimane del “suo” teatro, meravigliato di come fosse l’unica cosa semidistr utta in quel contesto, per cui, avendolo riconosciuto, abbiamo colto l’occasione per avvicinarlo. Progetto vincitore del Concorso Nazionale di idee per il Teatro A. Galli e Piazza Malatesta di Adolfo Natalini, Marino Bonizzato, Maria Grazia Federico, Giorgio Franchini, Emma Mandelli, Fabrizio Natalini (1985) CRITERI E METODI PER IL RESTAURO ARCHITETTONICO (1991) Documento del Comitato italiano dell’ICONOS d’intesa con il Comitato di Settore per i beni ambientali e architettonici [...] In linea di massima, nel restauro vanno privilegiate le operazioni almeno potenzialmente reversibili,fra le quali non ricadono quasi mai le rimozioni né le demolizioni (criterio della reversibilità). [...] Nel restauro è proibito ogni completamento in stile analogico; sono inoltre da ritenersi improprie le aggiunte che alterino l’autenticità del costruito. Reintegrazioni o completamenti possono essere ammessi limitatamente a casi di rilevante importanza culturale e, comunque, quando esiste la documentazione dello stato precedente o il progetto autentico della parte mancante. Qualsiasi aggiunta o altro lavoro di completamento, ritenuto indispensabile per ragioni estetiche o tecniche, dovrà essere reso riconoscibile in modo da non determinare equivoci e non configurare un falso. Esso, in ogni caso, deve recare il segno della nostra epoca, evitando qualsiasi forma di ostentata contrapposizione, ed assicurare un armonioso inserimento, sulla base di una valutazione critica del rapporto antico-nuovo. In altre parole lasciare distinguere l’antico dal nuovo, senza offendere l’immagine del monumento, inteso in sé e nel suo ambiente (criterio della distinguibilità) Tanto gli elementi destinati a sostituire piccole parti mancanti e storicamente accertate, quanto le aggiunte di parti in funzione statica, dovranno integrarsi nell’insieme; in tal senso la massima attenzione dovrà essere riservata alla qualità della progettazione architettonica dell’intervento. Nelle aggiunte che si dimostrino necessarie, per ragioni di consolidamento, per raggiungere lo scopo d’una opportuna reintegrazione o per la pratica utilizzazione del monumento, deve seguirsi il criterio essenziale di limitare tali elementi nuovi al minimo indispensabile (criterio del minimo intervento). [...] Abbiamo fatto tante varianti al progetto e speso tanti soldi. Sempre i soldi… anch’io, allora, dovetti aggiustare il progetto per contenere i costi. Fosse stato per me l’avrei fatto diverso, più grande e più bello. Pensate che dovetti omettere la parte superiore dell’attico e della facciata, compresi i due frontoni. Ed anche accorciare il teatro di ben undici metri. E tutto per risparmiare, mentre adesso voi sprecate denari senza concludere alcunché. Mi faccio persuaso che non meritiate un’opera di codesta importanza!” Il fatto è che manca l’accordo su cosa sia giusto fare… Non è mai facile essere tutti d’accordo. Non potete nemmeno immaginare quanti problemi dovetti affrontare prima di riuscire a costruire il teatro. Ah, quante polemiche! E cosa non disse il Fedeli: che il fabbricato era troppo grande e troppo costoso e perfino – questa poi... - poco solido! Per non parlare del Partito delle incoltellate, una specie di comitato di cittadini che pretendeva chiudessi il secondo ordine delle arcate della facciata! Se ripenso a quei giorni, alle battaglie che dovetti sostenere… mi pare che le cose non siano cambiate poi tanto!” E’ proprio questo il punto. C’è chi accetta o persino auspica che le parti mancanti vengano costruite secondo un nuovo disegno e chi invece vorrebbe ricostruirle come le aveva realizzate lei centocinquant’anni fa. Cosa pensa di questa seconda ipotesi: sarebbe favorevole? E’ certamente un’idea che mi inorgoglisce ma, detto tra noi… forse nemmeno io sarei in grado di rifarlo proprio come la prima volta, tante furono le modifiche, gli aggiustamenti ed i lavori addizionali che dovetti apportare in corso d’opera e che non mi peritai di riportare su disegni aggiornati. Ad esempio, ho dovuto modificare la composizione delle murature in diversi punti… e poi, visto come costruite oggi, vi sfido a realizzare con le vostre maestranze ben nove tipologie diverse di muratura, in tozzotti e mezza materia, pietra di Pesaro e gavoli! Comunque, se aveste bisogno di me, potremmo anche discuterne... Lei sarebbe quindi disponibile a rifarlo com’era? Sì, ma fino a un certo punto! Già che ci siamo… non potremmo approfittarne per apportare qualche cambiamento? Che so… provare a riproporre qualcuna delle soluzioni che mi vennero bocciate, o anche soltanto modificare il retro, che allora dovetti realizzare proprio al risparmio, d’altronde affacciava sulle carceri… E poi mi piacerebbe - e sarebbe anche giusto - introdurre qualche novità!” Non ci dica che persino lei non lo rifarebbe tale e quale! E’ sorprendente! Non sorprendetevi più di tanto, giovinotti! Visto che siete architetti, saprete bene che allorquando, dopo l’incendio che la distrusse, mi incaricarono di ricostruire la Basilica di San Paolo Fuori le Mura a Roma, un po’ per volontà e un po’ per necessità la ricostruii secondo un nuovo disegno: il mio! E si trattava di una delle più antiche e I più grandi Basiliche della cristianità, non so se mi spiego!” La prego, non sia evasivo: lei, lo rifarebbe com’era o no? Se proprio mi chiedeste di farlo... potrei provarci! E se chiedessimo ad un altro architetto di rifarlo come il suo? Beh, se così fosse... non sarebbe davvero la stessa cosa.... Così dicendo, d’improvviso voltò le spalle al suo Teatro e con passo sicuro si allontanò. Notammo che guardava lontano, oltre la piazza: forse tra la folla aveva visto sopraggiungere la sua amata Adele. l rifacimento del Teatro Poletti rappresenta uno dei rari esempi di Concorsi di architettura (forse l’unico per l’importanza del tema) che si sono svolti nella città di Rimini. Verso la metà degli anni '80 l'allora Commissione Territoriale Architetti dell'Emilia Romagna lanciò l'idea alla Amministrazione Comunale di organizzare un concorso di idee per la ricostruzione di un teatro nella città e ciò maggiormente con l'intendimento di voler lanciare l'idea dei Concorsi di progettazione, allora sconosciuti. I primi basilari incontri avvennero con l'assessore alla cultura Ennio Grassi, seguirono dibattiti sui giornali locali compendiati in un convegno titolato “Un Teatro nella Città” che si tenne il 17 dicembre 1985 nella Sala Ressi. Seguì il bando, il concorso, la proclamazione del vincitore e dal 19 aprile al 18 maggio 1986 rimasero in mostra i 143 progetti, con cui avevano partecipato gruppi di architetti provenienti da tutte le parti di Italia. Da subito la visione di voler studiare un teatro ed individuare il luogo ove costruirlo, si focalizzò sulla ricostruzione del Teatro Poletti ed iniziarono le polemiche tra i fautori del nuovo e della ricostruzione “come era dove era” e la discussione divenne infinita tanto che il 26 febbraio '87 leggiamo sul Carlino le del piede! Le foto documentano l’insieme, a volte qualche particolare ma non tutti, ed allora è logico chiedersi come avranno operato… interrogati in proposito alcuni di loro hanno risposto di averlo realizzato sulla scorta delle dimensioni delle zampe unica traccia rimasta del volatile svanito tra le fiamme!....e la stessa storia vale per le lampade, gli stucchi, le tappezzerie o le dorature (che un buon decoratore sa patinare per far sembrare più antiche) …E adesso, allora, mi si permetta di dire che si incomincia a sentire odore di follia, una bella follia no? Dopodiché ognuno può pensarla come vuole e stupirsi di fronte ai rifatti stucchi veneziani che, per carità, sono autentici come autentico è un oggetto fatto oggi: documentano infatti il nostro attuale sentire. Può essere! Anche se per me il valore di quelle zampette rimaste era il segno ed il monito della nostra ignoranza, belle perché antiche, forse non originali perché a loro volte ridipinte o rifatte sugli originali nel diciannovesime secolo. Mario Botta scriveva nel 2003 che quando si copia la cultura è debole e che un episodio come quello della Fenice era, per l’architettura, una sconfitta: la forza delle vecchia Europa, aggiungo io, sta propria nella ricchezza della stratificazione. Rifare dov’era com’era, diciamolo allora una volta per tutte, non è restauro, è “altro”. Il restauro, criticamente inteso, difende strenuamente la materia non la riproduce; non cancella le tracce del passaggio nel tempo ma le conserva; si configura come atto virtuoso di salvaguardia dell’oggetto e del suo contesto; insomma aggiunge in maniera riconoscibile e reversibile non certo imita… come, del resto, finiscono per fare alcuni di coloro che, a parole, si ergono a paladini del dov’era com’era ma per fortuna si smentiscono poi con i fatti. Andatevi a vedere come l’architetto Pierluigi Cervellati ha elegantemente colmato la lacuna prodotta dal crollo della volta a vela dell’oratorio dei Filippini a Bologna con una volta in legno lamellare! In un tempo mai come questo lontano dal silenzio, il lavoro sulle parole - scrive Salvatore Natoli - diventa un esercizio teoretico ma anche azione morale: lavorare su queste significa sottrarle all’equivoco. Come architetti allora ogniqualvolta ci troveremo a parlare di architettura, ed il restauro è architettura, dovremo almeno avere la consapevolezza di cosa stiamo dicendo, delle parole che stiamo adoperando! Se, però, Rimini deciderà domani di riavere il suo teatro “dov’era com’era”, allora sarà nostro dovere di architetti dire ai riminesi che ciò che vedranno non sarà certo la rinata opera del Poletti ma un manufatto “ispirato” ad un teatro oramai scomparso perché altro non si è stati capaci di fare. E pur vero che guardandosi attorno si vede una città fatta per lo più di brutti edifici spesso costruiti nel dopoguerra ed ora rimodernati ”in stile” (talvolta anche da noi architetti!) e ridipinti con assurde coloriture indaco o rosa maialino! Dove il primo che ne ha le possibilità economiche, non certo culturali, pensa di poter progettare e vestire i nostri panni. Una città insomma dove non sembra vi sia tanta fiducia nell’architettura contemporanea. C’è da domandarsi allora se non siamo riusciti a banalizzare il nostro mestiere rendendo superflui sia l’architettura che la figura professionale dell’architetto! Spero proprio di no ma è bene fermarci più spesso a riflettere su quale immagine stiamo dando di noi come categoria e su cosa stiamo lasciando alla nostra città senza lamentarci poi se i nostri concittadini finiscono per rifugiarsi sotto la calda coperta del “dov’era com’era”. Per i concorsi 5 6 Luciano Cupioli Massimiliano Sirotti Sara Salucci Sulla mutata percezione del “luogo teatro” così si è espresso l’architetto Mario Botta nel corso del convegno “Architettura e città. Riflessioni sull’estetica contemporanea” a Rimini (2007) Il teatro, nel problema della comunicazione (due uomini che si parlano sotto un unico tetto) ha subìto una variazione rispetto alle tecniche dell’immaginario collettivo. Straordinario il teatro del Piermarini: nasce come spazio a lume di candela e delle lampade a olio, e oggi funziona con l’elettronica, con i movimenti scenici digitalizzati. Quindi ha subito una complessa trasformazione che salva il senso primordiale della comunicazione, quello del comunicare un mondo immaginario che non c’è, quello di accogliere il fruitore, il visitatore che arriva attraverso un percorso misterioso, attraverso un annuncio, paga il biglietto, si rinchiude in una sala, aspetta il buio per sognare in maniera collettiva. Ma anche questo è un bel mistero. In un’epoca in cui ognuno può avere la sua cassetta e scegliersi a casa sua come fare le cose. Ma non è questo che interessa. Il teatro come luogo dell’immaginario collettivo è fortissimo ad esempio per chi non va a teatro. Per coloro che non vanno a teatro, il teatro è forse più importante che per coloro che ci vanno. Perché quello è il luogo della collettività. Dove si esprime il bisogno di sognare collettivamente….la m ia città è importante se ha il teatro, anche se io non vado a teatro, perché io so che quello è il luogo dell’immaginario collettivo, un vero spazio sacro. 7 L unedì mattina 1 gennaio 2007 in Eurovisione è stato trasmesso il tradizionale concerto del primo dell’anno, in diretta dal teatro la Fenice di Venezia. Per chi ami l’Opera, la Fenice è una delle cinque sale più importanti del pianeta, perduta per sempre perché un ignoto elettricista, in ritardo sulla consegna dei lavori, ha pensato bene di procrastinarla provocando un piccolo incendio che però tale non è stato. Con veneto pragmatismo, come nel 1902 quando crollò il campanile di Piazza San Marco (senza l’aiuto di elettricisti ritardatari), il teatro è stato ricostruito “com’era dov’ era.” Capire cosa significhi questo slogan è abbastanza facile girando per il rinato teatro oppure osservando le eccellenti riprese della sala mandate in onda Eurovisione. Per chi aveva visitato la Fenice all’indomani dell’incendio o sia capitato per caso a Bari e guardi ciò che resta del Petruzzelli è comunque un’emozione, “un loop dell’anima“ come ha scritto a tale proposito Alessandro Baricco. L’occhio resta ammaliato per quella sinfonia d’insieme fatta di sontuosi stucchi, ori luccicanti e ricchi broccati ma è importante chiarire che si potrà andare a teatro per degli anni senza che la nostra memoria visiva registri l’effettiva forma ed immagine delle volute degli stucchi o, che so, di uno degli uccellini che decorano le pareti del teatro! Non ci si accorgerà allora se un’ala di quell’ignoto uccellino è più aperta o chiusa, se il becco è rivolto a destra o a sinistra, ma statene certi che parlando con i decoratori della Fenice (non chiamiamoli restauratori per rispetto alla categoria!) questi vi assicureranno di aver rifatto l’uccellino com’era e dov’era! È naturale allora chiedersi come avranno fatto, la risposta più ovvia è pensare alle fotografie ma tra la documentazione relativa al teatro prima dell’incendio non esiste traccia dell’ignoto uccellino (chi mai si sarebbe preso la briga di documentare particolari così insignificanti) sarebbe come voler fare il ritratto a Marylin Monroe partendo dalla fotografia di un’unghia laccata 8 L’unghia laccata di Marylin Andrea Ugolini Al centro: Fotomontaggio del Teatro Poletti bombardato (M. Castelvetro) Pag. 6: Fotomontaggio da una incisione del Poletti (M. Sirotti) CONTINUA A PAG. 14 Armando Baccolini PARTNER SENIOR Forse lei non l’ha saputo, ma proprio sul suo teatro si è svolto un concorso internazionale di idee! Speriamo che lei non se ne abbia a male, ma il vincitore, l’architetto Adolfo Natalini, ha proposto di modificare sostanzialmente l’edificio. Ah sì? Sarei davvero curioso di vedere questo progetto! Ed ora? Immagino che procederete prontamente con i lavori! Veramente… no! C’è qualche difficoltà… Normale, non si può iniziare subito: immagino occorra prima definire bene tutti i dettagli e redigere gli esecutivi… Sì, ma…il concorso risale a più di vent’anni fa… Acciderba! Ai miei tempi impiegammo quindici anni a costruire il Teatro, e voi ora avete bisogno di decenni per non fare niente? Marco Zaoli barocco, o contemporaneo. Meglio è porre un cristallo trasparente ove non esiste più una finestra, piuttosto che inventarsi un infisso di un'epoca incerta. Si ottiene colloquio tra un muro in cemento a vista ed un muro in mattoni del '700, che non vi è in una muratura di mattoni fatti a macchina. Solo a partire dalla metà del 1800 viene approfondito il tema del restauro delle opere storiche con dibattito che vede protagonisti tre studiosi che per antitesi di concetti esprimono al meglio le differenti linee della cultura del restauro: John Ruskin, Eugene Viollet Le Duc e Camillo Boito. Ruskin era contrario ad ogni forma di intervento di restauro e per chiarire i suoi concetti basti citare dai suoi scritti la frase: “Restaurare un edificio è come volere restaurare un morto.” Viollet Le Duc era invece dell'idea che si potessero legittimamente ricostruire gli elementi mancanti nello stesso stile e forma dell’esistente (in forma mimetica, diremmo oggi). Boito (vissuto a cavallo tra il 19° e 20° secolo) ha approfondito tali concetti concludendo che si doveva conservare e proteggere ciò che rimaneva di antico, permettendo tuttavia la lettura e la datazione certa delle ricostruzioni. Un suo scritto ne illumina il pensiero: "E' peccato ingannare il prossimo, ma ancor peggio è ingannare i posteri” : quindi niente falsi artistici o storici. A questi autori citati se ne possono aggiungere altri e sulla linea del Boito abbiamo l'Annoni, il Brandi e - a mio avviso insuperato nel campo del restauro museale - Carlo Scarpa. Chi volesse deliziarsi degli interventi moderni di quest'ultimo all’interno di strutture antiche vada a visitare l’Abatellis di Palermo o il Castelvecchio di Verona e si renderà conto come una scala in cemento possa colloquiare perfettamente con la vecchia muratura o come la statua di Cangrande della Scala sia collocata in modo superlativo su una struttura in ferro o come il cristallo (materiale moderno) possa avere un effetto di estrema raffinatezza a contatto con le strutture antiche: certo il difficile è sapere - come Scarpa sapeva - accostare i materiali e le forme. Nel 1906 sono state costituite le Soprintendenze, delegate al controllo degli interventi di restauro, che ancora oggi si attengono in linea di massima alle linee tracciate dal Boito e via via perfezionate dai congressi internazionali degli architetti e dalla Carte del Restauro di Venezia, di Atene e di Macchu Picchu. Ultimamente, nella ricostruzione dei teatri si ricorre al “come era dove era”, forse per semplificare le procedure, oppure per non farsi carico della responsabilità di una nuova progettazione, o si dice per convenienza economica. La certezza è che si ottengono dei falsi, degli edifici in maschera. Ma chi si vestirebbe ora con la moda dell'ottocento? Luigi Poletti l’intervista impossibile Buongiorno, architetto Polet ti, siamo suoi colleghi riminesi, possiamo chiederle la sua opinione su… Certo, certo… ma cosa è successo al mio teatro? C’è forse stata una guerra di recente? Strano però che solo lui sia stato centrato! A dire il vero la guerra c’è stata, ma è terminata più di sessant’anni fa, anche se i danni maggiori il teatro li ha subiti in seguito. Accidenti! e cosa è successo nel frattempo a Rimini? C’è stata la ricostruzione e con il boom economico ed il turismo di massa Rimini ha avuto uno sviluppo edilizio incontenibile… Credo di capire… ma perché il teatro è ancora distrutto… non c’è più posto per la cultura? La lirica non interessa più nessuno? E pensare che questo teatro venne inaugurato addirittura con la “Traviata”; anche se l’unica vera prima fu quella de “L’Aroldo”, sempre di Verdi, ma un’opera minore… In realtà, almeno a parole, le cose non stanno proprio così: tutti in città sembrano volere il teatro. E allora perché non ci avete ancora messo le mani? E’ davvero indecoroso lasciare un simile rudere in mezzo ad una piazza! favorire il progetto di ricostruzione del Teatro “com’era, dov’era”. Al di là dei problemi di carattere strutturale, impiantistico, di sicurezza che la riproposizione del teatro polettiano porta con sé, non si vuole qui negare il valore storico e storicista dell’intervento “com’era, dov’era”. Pur non essendo un esempio eccellente dell’architettura ottocentesca e pur essendosi fatto spazio con un po’ di prepotenza nella città preesistente (tanto da comprimere visivamente la Rocca Malatestiana), l’edificio polettiano è stato per più di un secolo uno dei più rappresentativi della città e della cittadinanza riminese. Quello che si vuole al contrario affermare è la validità di percorsi condivisi e partecipati – quali i concorsi di idee e di progettazione – per la definizione delle trasformazioni più importanti delle nostre città. Purtroppo le vicende di Rimini, questa del Galli ma anche questioni attualmente sul tavolo, non fanno sperare in meglio. Peccato, ma noi architetti non possiamo tacere. PARTNER JUNIOR 2 3 4 7 7 9 13 15 Non possiamo tacere 3 CARTA ITALIANA DEL RESTAURO (1932 ) varia, di un rilievo schematico e di documentazione fotografica. L’idea del ripristino non entrò nel novero dei progetti premiati o segnalati. La qualificata giuria aveva premiato i progetti rivolti alla ricerca architettonica, al dialogo dell’architettura contemporanea con l’architettura storica, ad un’idea di città dinamica ed attuale. Dal punto di vista culturale il giudizio della giuria si pose nell’ambito dell’indirizzo consolidato di attribuire pari dignità all’architettura del passato ed all’architettura del presente che, oltre ad aver favorito nei secoli passati la costruzione delle nostre città quali stratificazioni di culture di diversi periodi storici, anche nel XX secolo aveva dato importanti frutti nell’accostare edifici contemporanei ad edifici storici, il cui progenitore per l’architettura moderna è rappresentato dall’ampliamento del Municipio di Goteborg di E.G.Asplund del 1934-37. D’altra parte si potrebbe fare un lungo elenco di armonica compresenza di architetture contemporanee realizzate all’interno di centri storici, quali ricostruzioni di tessuti distrutti dalla guerra o addirittura sostituzioni di parti degradate dell’edificato storico urbano con nuovi manufatti edilizi. Il nostro paese, culla dell’Architettura greca, patria dell’Architettura romana, medioevale, rinascimentale, barocca, neoclassica, ha vissuto nel secolo scorso (ed evidentemente sta ancora vivendo) una stagione di ripiegamento culturale, per effetto del quale risorse anche importanti della vita intellettuale italiana non sono capaci di comprendere l’importanza ed il valore della cultura architettonica contemporanea e della città moderna. Questo pensiero volto al passato, oltre a impedire l’intervento architettonico contemporaneo sui tessuti storici delle nostre città, è un freno anche al comprendere che la città contemporanea ha medesima importanza della città storica e che va quindi costruita con cura, qualità, non solo dal punto di vista architettonico, ma anche con attenzione agli spazi pubblici ed alle gerarchie urbane (come la qualità dei tessuti storici delle nostre città dovrebbe suggerire). In definitiva non è capace di comprendere che la città è costituita dal complesso di parti storiche, porzioni più recenti, trasformazioni migliorative del tessuto esistente. Purtroppo questo pensiero rivolto al passato ha avuto gioco nella vicenda della ricostruzione del Teatro Galli. Con una campagna dai toni spesso troppo acuti e financo offensivi portata avanti da alcuni esponenti di questa cultura passatista, l’Amministrazione Comunale è stata indotta ad azzerare il percorso virtuoso iniziato con il Concorso Nazionale di Idee per il Teatro Amintore Galli e Piazza Malatesta ed a SEGUE A PAG. 8 architettirimini acendo un bilancio, allo stato attuale delle cose, sulla vicenda che ha portato alla decisione di ricostruire la parte del Teatro Amintore Galli di Rimini distrutta dagli eventi della seconda guerra mondiale “com’era e dov’era”, ritengo si debba affermare che rappresenta una sconfitta della Cultura Architettonica, ed una vittoria della cultura dello storicismo becero dell’Architettura. Cerco di articolare quest’affermazione e di spiegarne le ragioni che, a mio avviso, la sorreggono. La storia recente della ricostruzione del teatro riminese parte da un concorso di idee bandito nel 1985, che riguardava oltre il Teatro, l’assetto della Piazza Malatesta, le altre preesistenze storiche, quindi il rapporto del teatro con la Rocca Malatestiana e più in generale con il tessuto edilizio ed urbano di quella porzione della città. Il bando di concorso considerava il teatro come un elemento della città, di una città con un tessuto urbano, economico, sociale in evoluzione, di una città dinamica nella quale il teatro poteva assumere, nuovamente, una funzione