ArchitettiRimini (2005/2009) N. 6 - 6 ciò che fai - 2005 (2007)
F
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eFai
Notiziario bimestrale dell'Ordine A.P.P.C. della provincia di Rimini
novembre/dicembre 2005 NUOVA SERIE
Sommario
Cupioli Salucci e Sirotti incontrano Poletti
Zaoli contro i passatisti
Baccolini sulla storia del Restauro
Tisselli sui Concorsi
di stimolo culturale, di nuovo arricchimento della vita sociale
dei cittadini e dell’offerta di servizi all’economia turistica (proprio
in quegli anni si cominciava a pensare che la città turistica non
dovesse essere confinata a mare del tracciato ferroviario, ma
dovesse comprendere anche la città storica).
Relativamente all’edificio del Teatro, che doveva conservare
l’uso storico ed eventualmente prevedere funzioni di supporto,
il concorso era aperto a tutte le istanze ed idee progettuali: sia
alla conservazione della porzione esistente ed alla realizzazione
di un edificio originale sulla parte distrutta dalla guerra, sia alla
riproposizione dell’opera del Poletti “com’era e dov’era”.
Come noto al Concorso, di livello nazionale, parteciparono
poco meno di 150 gruppi. Il gruppo giudicato vincitore da una
commissione costituita da membri di alto valore culturale e
specializzazione fu quello con Capogruppo Adolfo Natalini,
che aveva presentato un interessante e ben calibrato progetto
di costruzione di un nuovo edificio a completamento della parte
ancora esistente del Teatro Galli, legato al tessuto urbano,
sociale ed economico cittadino con una serie di interventi sulla
piazza Malatesta ed anche disseminati nelle
principali polarità della città.
Fra le idee concorrenti era presente anche quella
che proponeva il ripristino del Teatro polettiano
sulla base di disegni originali, di documentazione
[…] che nelle aggiunte che si dimostrassero necessarie, o per ottenere
il consolidamento, o per raggiungere lo scopo di una reintegrazione
totale o parziale, o per la pratica utilizzazione del monumento, il
criterio essenziale da seguirsi debba essere, oltre a quello di limitare
tali elementi nuovi al minimo possibile, anche quello di dare ad essi
un carattere di nuda semplicità e di rispondenza allo schema
costruttivo; e che solo possa ammettersi in stile similare la
continuazione di linee esistenti nei casi in cui si tratti di espressioni
geometriche prive di individualità decorativa;
[…] che in ogni caso debbano siffatte aggiunte essere accuratamente
ed evidentemente designate e con l’impiego di materiale diverso dal
primitivo,o con l’adozione di cornici di inviluppo, semplici e prive di
intagli, o con l’applicazione di sigle o di epigrafi, per modo che mai
un restauro eseguito possa trarre in inganno gli studiosi e
rappresentare la falsificazione di un documento storico.
[…]
Ugolini & M. Monroe
4
L’
”eterno” dibattito aperto sul Teatro Poletti
e sui Concorsi di architettura dà l'idea che ormai
si faccia solo accademia e viene da domandarsi
se ciò dipenda dal fatto che il dibattito è uscito
dalle sfere specialistiche per finire nelle mani di
una cittadinanza che forse non è ancora sufficientemente
preparata, per cui è il caso di fare una panoramica sul restauro,
poiché l'intervento sul Teatro è restauro, così come la scelta
del luogo è urbanistica e restauro della Città.
Morris afferma che la progettazione non può fondarsi sulla
imitazione dell’uno o dell’altro stile del passato, ma deve
intendersi come un "guardare avanti". Ma quando si deve
intervenire in un vecchio edificio che per le sue caratteristiche
è da considerare storico, nelle aggiuntesi si deve imitare lo
stile o guardare verso il futuro?
Alcuni architetti del passato, come Viollet Le Duc, hanno
preferito l’imitazione mimetica, altri, come il Boito,
hanno preferito conservare l’esistente e
differenziare il nuovo.
Certo è che, dopo
il Boito e le
Carte del
Esemplari europei da Tognoloni
restauro, sembra inaccettabile la ricostruzione nello “stile”, che
per quanto sia ben fatta difficilmente inganna un occhio esperto,
suonando come una moneta falsa per un numismatico; sicchè
non si dovrebbe più porre tale problema per l'eccezione bensì
per la generalità, quale quella che ha caratterizzato la città di
Varsavia che nel dopo guerra è stata interamente ricostruita
come era, sulla scorta dei disegni di rilievo conservati presso
la facoltà di architettura e
con l’aiuto di alcuni quadri
del Canaletto, per cui gli
edifici rifatti non suonano
più come monete false ma
assumono la caratteristica
di una intera anomala
collezione, acquisendo
pertanto notevole
interesse.
Oggi è opportuno far vedere chiaramente ciò che viene fatto,
mediante la distinzione di stile, o di materiale, o di fattezza o
datando il nuovo.
E’ così che si deve intervenire nei vecchi edifici senza distruggere
o falsare ciò che è rimasto di originale.
L’accostamento di stili e materiali apporta una maggiore
chiarezza e leggibilità dell’edificio, come del quartiere o della
città. Ne accresce il piacere visivo,
potendo guardare con serenità e
senza sospetto ciò che è
romanico, gotico,
Cenni sul
Restauro
Teatri rinati di Turci
Focchi all’occhiello
Q
ualcuno racconta che, talvolta, alcune persone non più
presenti fra noi ricompaiano per qualche motivo nei luoghi
dove hanno realizzato un’importante opera o vissuto un grande
amore. Meglio ancora se entrambe le cose.
Fu così che quel giorno di novembre, incontrammo in Piazza
Malatesta Luigi Poletti (1792-1869), in vita architetto, che in
questa città lavorò (suo il progetto del teatro) ed amò (la
nobildonna Adele Graziani Cisterni). Era lì spaesato, che
vagava in mezzo alle auto parcheggiate intorno a quello che
rimane del “suo” teatro, meravigliato di come fosse l’unica
cosa semidistr utta in quel contesto, per cui, avendolo
riconosciuto, abbiamo colto l’occasione per avvicinarlo.
Progetto vincitore del Concorso Nazionale di idee per il Teatro A. Galli e Piazza
Malatesta di Adolfo Natalini, Marino Bonizzato, Maria Grazia Federico, Giorgio
Franchini, Emma Mandelli, Fabrizio Natalini (1985)
CRITERI E METODI PER IL
RESTAURO ARCHITETTONICO (1991)
Documento del Comitato italiano dell’ICONOS d’intesa con
il Comitato di Settore per i beni ambientali e architettonici
[...] In linea di massima, nel restauro vanno privilegiate le operazioni
almeno potenzialmente reversibili,fra le quali non ricadono quasi
mai le rimozioni né le demolizioni (criterio della reversibilità).
[...] Nel restauro è proibito ogni completamento in stile analogico;
sono inoltre da ritenersi improprie le aggiunte che alterino
l’autenticità del costruito. Reintegrazioni o completamenti possono
essere ammessi limitatamente a casi di rilevante importanza
culturale e, comunque, quando esiste la documentazione dello
stato precedente o il progetto autentico della parte mancante.
Qualsiasi aggiunta o altro lavoro di completamento, ritenuto
indispensabile per ragioni estetiche o tecniche, dovrà essere reso
riconoscibile in modo da non determinare equivoci e non
configurare un falso. Esso, in ogni caso, deve recare il segno
della nostra epoca, evitando qualsiasi forma di ostentata
contrapposizione, ed assicurare un armonioso inserimento, sulla
base di una valutazione critica del rapporto antico-nuovo. In altre
parole lasciare distinguere l’antico dal nuovo, senza offendere
l’immagine del monumento, inteso in sé e nel suo ambiente
(criterio della distinguibilità)
Tanto gli elementi destinati a sostituire piccole parti mancanti e
storicamente accertate, quanto le aggiunte di parti in funzione
statica, dovranno integrarsi nell’insieme; in tal senso la massima
attenzione dovrà essere riservata alla qualità della progettazione
architettonica dell’intervento. Nelle aggiunte che si dimostrino
necessarie, per ragioni di consolidamento, per raggiungere lo
scopo d’una opportuna reintegrazione o per la pratica utilizzazione
del monumento, deve seguirsi il criterio essenziale di limitare tali
elementi nuovi al minimo indispensabile (criterio del minimo
intervento).
[...]
Abbiamo
fatto tante varianti
al progetto e speso tanti
soldi.
Sempre i soldi… anch’io,
allora, dovetti aggiustare
il progetto per contenere i costi. Fosse stato per me l’avrei
fatto diverso, più grande e più bello. Pensate che dovetti
omettere la parte superiore dell’attico e della facciata,
compresi i due frontoni. Ed anche accorciare il teatro di
ben undici metri. E tutto per risparmiare, mentre adesso
voi sprecate denari senza concludere alcunché. Mi faccio
persuaso che non meritiate un’opera di codesta
importanza!”
Il fatto è che manca l’accordo su cosa sia giusto fare…
Non è mai facile essere tutti d’accordo. Non potete
nemmeno immaginare quanti problemi dovetti affrontare
prima di riuscire a costruire il teatro. Ah, quante
polemiche! E cosa non disse il Fedeli: che il fabbricato
era troppo grande e troppo costoso e perfino – questa
poi... - poco solido! Per non parlare del Partito delle
incoltellate, una specie di comitato di cittadini che
pretendeva chiudessi il secondo ordine delle arcate della
facciata! Se ripenso a quei giorni, alle battaglie che dovetti
sostenere… mi pare che le cose non siano cambiate poi
tanto!”
E’ proprio questo il punto. C’è chi accetta o persino auspica
che le parti mancanti vengano costruite secondo un nuovo
disegno e chi invece vorrebbe ricostruirle come le aveva
realizzate lei centocinquant’anni fa. Cosa pensa di questa
seconda ipotesi: sarebbe favorevole?
E’ certamente un’idea che mi inorgoglisce ma, detto tra
noi… forse nemmeno io sarei in grado di rifarlo proprio
come la prima volta, tante furono le modifiche, gli
aggiustamenti ed i lavori addizionali che dovetti
apportare in corso d’opera e che non mi peritai di riportare
su disegni aggiornati. Ad esempio, ho dovuto modificare
la composizione delle murature in diversi punti… e poi,
visto come costruite oggi, vi sfido a realizzare con le vostre
maestranze ben nove tipologie diverse di muratura, in
tozzotti e mezza materia, pietra di Pesaro e gavoli!
Comunque, se aveste bisogno di me, potremmo anche
discuterne...
Lei sarebbe quindi disponibile a rifarlo com’era?
Sì, ma fino a un certo punto! Già che ci siamo… non
potremmo approfittarne per apportare qualche
cambiamento? Che so… provare a riproporre qualcuna
delle soluzioni che mi vennero bocciate, o anche soltanto
modificare il retro, che allora dovetti realizzare proprio
al risparmio, d’altronde affacciava sulle carceri… E poi
mi piacerebbe - e sarebbe anche giusto - introdurre qualche
novità!”
Non ci dica che persino lei non lo rifarebbe tale e quale!
E’ sorprendente!
Non sorprendetevi più di tanto, giovinotti! Visto che siete
architetti, saprete bene che allorquando, dopo l’incendio
che la distrusse, mi incaricarono di ricostruire la Basilica
di San Paolo Fuori le Mura a Roma, un po’ per volontà
e un po’ per necessità la ricostruii secondo un nuovo
disegno: il mio! E si trattava di una delle più antiche e
I
più
grandi
Basiliche
della cristianità, non so
se mi spiego!”
La prego, non sia evasivo: lei, lo rifarebbe
com’era o no?
Se proprio mi chiedeste di farlo... potrei
provarci!
E se chiedessimo ad un altro architetto di rifarlo
come il suo?
Beh, se così fosse... non sarebbe davvero la
stessa cosa....
Così dicendo, d’improvviso voltò le spalle al suo
Teatro e con passo sicuro si allontanò. Notammo
che guardava lontano, oltre la piazza: forse tra
la folla aveva visto sopraggiungere la sua amata
Adele.
l rifacimento del Teatro Poletti
rappresenta uno dei rari esempi
di Concorsi di architettura (forse
l’unico per l’importanza del tema) che si sono svolti nella città
di Rimini.
Verso la metà degli anni '80 l'allora
Commissione Territoriale Architetti dell'Emilia
Romagna lanciò l'idea alla Amministrazione
Comunale di organizzare un concorso di
idee per la ricostruzione di un teatro nella
città e ciò maggiormente con l'intendimento di voler lanciare
l'idea dei Concorsi di progettazione, allora sconosciuti.
I primi basilari incontri avvennero con l'assessore alla cultura
Ennio Grassi, seguirono dibattiti sui giornali locali compendiati
in un convegno titolato “Un Teatro nella Città” che si tenne il
17 dicembre 1985 nella Sala Ressi.
Seguì il bando, il concorso, la proclamazione del vincitore e
dal 19 aprile al 18 maggio 1986 rimasero in mostra i 143
progetti, con cui avevano
partecipato gruppi di architetti
provenienti da tutte le parti di
Italia.
Da subito la visione di voler
studiare un teatro ed individuare
il luogo ove costruirlo, si focalizzò sulla ricostruzione del Teatro
Poletti ed iniziarono le polemiche tra i fautori del nuovo e della
ricostruzione “come era dove era” e la discussione divenne
infinita tanto che il 26 febbraio '87 leggiamo sul Carlino le
del piede!
Le foto documentano l’insieme, a volte qualche particolare ma
non tutti, ed allora è logico chiedersi come avranno operato…
interrogati in proposito alcuni di loro hanno risposto di averlo
realizzato sulla scorta delle dimensioni delle zampe unica
traccia rimasta del volatile svanito tra le fiamme!....e la stessa
storia vale per le lampade, gli stucchi, le tappezzerie o le
dorature (che un buon decoratore sa patinare per far sembrare
più antiche)
…E adesso, allora, mi si permetta di dire che si incomincia a
sentire odore di follia, una bella follia no?
Dopodiché ognuno può pensarla come vuole e stupirsi di fronte
ai rifatti stucchi veneziani che, per carità, sono autentici come
autentico è un oggetto fatto oggi: documentano infatti il nostro
attuale sentire. Può essere! Anche se per me il valore di quelle
zampette rimaste era il segno ed il monito della nostra ignoranza,
belle perché antiche, forse non originali perché a loro volte
ridipinte o rifatte sugli originali nel diciannovesime secolo.
Mario Botta
scriveva nel 2003
che quando si
copia la cultura è
debole e che un
episodio come
quello della Fenice era, per l’architettura, una sconfitta: la forza
delle vecchia Europa, aggiungo io, sta propria nella ricchezza
della stratificazione.
Rifare dov’era com’era, diciamolo allora una volta per tutte,
non è restauro, è “altro”.
Il restauro, criticamente inteso, difende strenuamente la materia
non la riproduce; non cancella le tracce del passaggio nel
tempo ma le conserva; si configura come atto virtuoso di
salvaguardia dell’oggetto e del suo contesto; insomma aggiunge
in maniera riconoscibile e reversibile non certo imita… come,
del resto, finiscono per fare alcuni di coloro che, a parole, si
ergono a paladini del dov’era com’era ma per fortuna si
smentiscono poi con i fatti. Andatevi a vedere come l’architetto
Pierluigi Cervellati ha elegantemente colmato la lacuna prodotta
dal crollo della volta a vela dell’oratorio dei Filippini a Bologna
con una volta in legno lamellare!
In un tempo mai come questo lontano dal silenzio, il lavoro
sulle parole - scrive Salvatore Natoli - diventa un esercizio
teoretico ma anche azione morale: lavorare su queste significa
sottrarle all’equivoco.
Come architetti allora ogniqualvolta ci troveremo a parlare di
architettura, ed il restauro è architettura, dovremo almeno
avere la consapevolezza di cosa stiamo dicendo, delle parole
che stiamo adoperando! Se, però, Rimini deciderà domani di
riavere il suo teatro “dov’era com’era”, allora sarà nostro dovere
di architetti dire ai riminesi che ciò che vedranno non sarà
certo la rinata opera del Poletti ma un manufatto “ispirato” ad
un teatro oramai scomparso perché altro non si è stati capaci
di fare.
E pur vero che guardandosi attorno si vede una città fatta per
lo più di brutti edifici spesso costruiti nel dopoguerra ed ora
rimodernati ”in stile” (talvolta anche da noi architetti!) e ridipinti
con assurde coloriture indaco o rosa maialino! Dove il primo
che ne ha le possibilità economiche, non certo culturali, pensa
di poter progettare e vestire i nostri panni. Una città insomma
dove non sembra vi sia tanta fiducia nell’architettura
contemporanea. C’è da domandarsi allora se non siamo riusciti
a banalizzare il nostro mestiere rendendo superflui sia
l’architettura che la figura professionale dell’architetto!
Spero proprio di no ma è bene fermarci più spesso a riflettere
su quale immagine stiamo dando di noi come categoria e su
cosa stiamo lasciando alla nostra città senza lamentarci poi
se i nostri concittadini finiscono per rifugiarsi sotto la calda
coperta del “dov’era com’era”.
Per i concorsi
5
6
Luciano Cupioli
Massimiliano Sirotti
Sara Salucci
Sulla mutata percezione del “luogo teatro” così si è espresso
l’architetto Mario Botta nel corso del convegno “Architettura
e città. Riflessioni sull’estetica contemporanea” a Rimini
(2007)
Il teatro, nel problema della comunicazione (due uomini che si
parlano sotto un unico tetto) ha subìto una variazione rispetto
alle tecniche dell’immaginario collettivo. Straordinario il teatro del
Piermarini: nasce come spazio a lume di candela e delle lampade
a olio, e oggi funziona con l’elettronica, con i movimenti scenici
digitalizzati. Quindi ha subito una complessa trasformazione che
salva il senso primordiale della comunicazione, quello del
comunicare un mondo immaginario che non c’è, quello di
accogliere il fruitore, il visitatore che arriva attraverso un percorso
misterioso, attraverso un annuncio, paga il biglietto, si rinchiude
in una sala, aspetta il buio per sognare in maniera collettiva. Ma
anche questo è un bel mistero. In un’epoca in cui ognuno può
avere la sua cassetta e scegliersi a casa sua come fare le cose.
Ma non è questo che interessa.
Il teatro come luogo dell’immaginario collettivo è fortissimo ad
esempio per chi non va a teatro. Per coloro che non vanno a
teatro, il teatro è forse più importante che per coloro che ci vanno.
Perché quello è il luogo della collettività. Dove si esprime il
bisogno di sognare collettivamente….la m ia città è importante
se ha il teatro, anche se io non vado a teatro, perché io so che
quello è il luogo dell’immaginario collettivo, un vero spazio sacro.
7
L
unedì mattina 1 gennaio 2007 in
Eurovisione è stato trasmesso il tradizionale
concerto del primo dell’anno, in diretta dal teatro
la Fenice di Venezia.
Per chi ami l’Opera, la Fenice è una delle
cinque sale più importanti del pianeta, perduta
per sempre perché un ignoto elettricista, in ritardo sulla consegna
dei lavori, ha pensato bene di procrastinarla provocando un
piccolo incendio che però tale non è stato.
Con veneto pragmatismo, come nel 1902 quando crollò il
campanile di Piazza San Marco (senza l’aiuto di elettricisti
ritardatari), il teatro è stato ricostruito “com’era dov’ era.”
Capire cosa significhi questo slogan è abbastanza facile girando
per il rinato teatro oppure osservando le eccellenti riprese della
sala mandate in onda Eurovisione.
Per chi aveva visitato la Fenice all’indomani dell’incendio o sia
capitato per caso a Bari e guardi ciò che resta del Petruzzelli
è comunque un’emozione, “un loop dell’anima“ come ha scritto
a tale proposito
Alessandro
Baricco.
L’occhio resta
ammaliato per
quella sinfonia
d’insieme fatta di sontuosi stucchi, ori luccicanti e ricchi broccati
ma è importante chiarire che si potrà andare a teatro per degli
anni senza che la nostra memoria visiva registri l’effettiva forma
ed immagine delle volute degli stucchi o, che so, di uno degli
uccellini che decorano le pareti del teatro!
Non ci si accorgerà allora se un’ala di quell’ignoto uccellino è
più aperta o chiusa, se il becco è rivolto a destra o a sinistra,
ma statene certi che parlando con i decoratori della Fenice
(non chiamiamoli restauratori per rispetto alla categoria!) questi
vi assicureranno di aver rifatto l’uccellino com’era e dov’era!
È naturale allora chiedersi come avranno fatto, la risposta più
ovvia è pensare alle fotografie ma tra la documentazione
relativa al teatro prima dell’incendio non esiste traccia dell’ignoto
uccellino (chi mai si sarebbe preso la briga di documentare
particolari così insignificanti) sarebbe come voler fare il ritratto
a Marylin Monroe partendo dalla fotografia di un’unghia laccata
8
L’unghia laccata di Marylin
Andrea Ugolini
Al centro: Fotomontaggio del Teatro Poletti bombardato (M. Castelvetro)
Pag. 6: Fotomontaggio da una incisione del Poletti (M. Sirotti)
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Armando Baccolini
PARTNER SENIOR
Forse lei non l’ha saputo, ma proprio sul suo teatro si è svolto
un concorso internazionale di idee! Speriamo che lei non se
ne abbia a male, ma il vincitore, l’architetto Adolfo Natalini, ha
proposto di modificare sostanzialmente l’edificio.
Ah sì? Sarei davvero curioso di vedere questo progetto!
Ed ora? Immagino che procederete prontamente con i
lavori!
Veramente… no! C’è qualche difficoltà…
Normale, non si può iniziare subito: immagino occorra
prima definire bene tutti i dettagli e redigere gli esecutivi…
Sì, ma…il concorso risale a più di vent’anni fa…
Acciderba! Ai miei tempi impiegammo quindici anni a
costruire il Teatro, e voi ora avete bisogno di decenni per
non fare niente?
Marco Zaoli
barocco, o contemporaneo.
Meglio è porre un cristallo trasparente ove non esiste più una
finestra, piuttosto che inventarsi un infisso di un'epoca incerta.
Si ottiene colloquio tra un muro in cemento a vista ed un muro
in mattoni del '700, che non vi è in una muratura di mattoni
fatti a macchina.
Solo a partire dalla metà del 1800 viene approfondito il tema
del restauro delle opere storiche con dibattito che vede
protagonisti tre studiosi che per antitesi di concetti esprimono
al meglio le differenti linee della cultura del restauro: John
Ruskin, Eugene Viollet Le Duc e Camillo Boito.
Ruskin era contrario ad ogni forma di intervento di restauro e
per chiarire i suoi concetti basti citare dai suoi scritti la frase:
“Restaurare un edificio è come volere restaurare un morto.”
Viollet Le Duc era invece dell'idea che si potessero
legittimamente ricostruire gli elementi mancanti nello stesso
stile e forma dell’esistente (in forma mimetica, diremmo oggi).
Boito (vissuto a cavallo tra il 19° e 20° secolo) ha approfondito
tali concetti concludendo che si doveva conservare e proteggere
ciò che rimaneva di antico, permettendo tuttavia la lettura e la
datazione certa delle ricostruzioni. Un suo scritto ne illumina
il pensiero: "E' peccato ingannare il prossimo, ma ancor peggio
è ingannare i posteri” : quindi niente falsi artistici o storici.
A questi autori citati se ne possono aggiungere altri e sulla
linea del Boito abbiamo l'Annoni, il Brandi e - a mio avviso
insuperato nel campo del restauro museale - Carlo Scarpa.
Chi volesse deliziarsi degli interventi moderni di quest'ultimo
all’interno di strutture antiche vada a visitare l’Abatellis di
Palermo o il Castelvecchio di Verona e si renderà conto come
una scala in cemento possa colloquiare perfettamente con la
vecchia muratura o come la statua di Cangrande della Scala
sia collocata in modo superlativo su una struttura in ferro o
come il cristallo (materiale moderno) possa avere un effetto di
estrema raffinatezza a contatto con le strutture antiche: certo
il difficile è sapere - come Scarpa sapeva - accostare i materiali
e le forme.
Nel 1906 sono state costituite le Soprintendenze, delegate al
controllo degli interventi di restauro, che ancora oggi si attengono
in linea di massima alle linee tracciate dal Boito e via via
perfezionate dai congressi internazionali degli architetti e dalla
Carte del Restauro di Venezia, di Atene e di Macchu Picchu.
Ultimamente, nella ricostruzione dei teatri si ricorre al “come
era dove era”, forse per semplificare le procedure, oppure per
non farsi carico della responsabilità di una nuova progettazione,
o si dice per convenienza economica.
La certezza è che si ottengono dei falsi, degli edifici in maschera.
Ma chi si vestirebbe ora con la moda dell'ottocento?
Luigi Poletti
l’intervista
impossibile
Buongiorno, architetto Polet ti, siamo suoi colleghi riminesi,
possiamo chiederle la sua opinione su…
Certo, certo… ma cosa è successo al mio teatro? C’è forse
stata una guerra di recente? Strano però che solo lui sia
stato centrato!
A dire il vero la guerra c’è stata, ma è terminata più di
sessant’anni fa, anche se i danni maggiori il teatro li ha subiti
in seguito.
Accidenti! e cosa è successo nel frattempo a Rimini?
C’è stata la ricostruzione e con il boom economico ed il turismo
di massa Rimini ha avuto uno sviluppo edilizio incontenibile…
Credo di capire… ma perché il teatro è ancora distrutto…
non c’è più posto per la cultura? La lirica non interessa
più nessuno? E pensare che questo teatro venne
inaugurato addirittura con la “Traviata”; anche se l’unica
vera prima fu quella de “L’Aroldo”, sempre di Verdi, ma
un’opera minore…
In realtà, almeno a parole, le cose non stanno proprio così:
tutti in città sembrano volere il teatro.
E allora perché non ci avete ancora messo le mani? E’
davvero indecoroso lasciare un simile rudere in mezzo
ad una piazza!
favorire il progetto di ricostruzione del Teatro “com’era, dov’era”.
Al di là dei problemi di carattere strutturale, impiantistico, di
sicurezza che la riproposizione del teatro polettiano porta con
sé, non si vuole qui negare il valore storico e storicista
dell’intervento “com’era, dov’era”. Pur non essendo un esempio
eccellente dell’architettura ottocentesca e pur essendosi fatto
spazio con un po’ di prepotenza nella città preesistente (tanto
da comprimere visivamente la Rocca Malatestiana), l’edificio
polettiano è stato per più di un secolo uno dei più rappresentativi
della città e della cittadinanza riminese.
Quello che si vuole al contrario affermare è la validità di percorsi
condivisi e partecipati – quali i concorsi di idee e di progettazione
– per la definizione delle trasformazioni più importanti delle
nostre città.
Purtroppo le vicende di Rimini, questa del Galli ma anche
questioni attualmente sul tavolo, non fanno sperare in meglio.
Peccato, ma noi architetti non possiamo tacere.
PARTNER JUNIOR
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Non possiamo tacere
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CARTA ITALIANA DEL RESTAURO (1932 )
varia, di un rilievo schematico e di documentazione fotografica.
L’idea del ripristino non entrò nel novero dei progetti premiati
o segnalati.
La qualificata giuria aveva premiato i progetti rivolti alla ricerca
architettonica, al dialogo dell’architettura contemporanea con
l’architettura storica, ad un’idea di città dinamica ed attuale.
Dal punto di vista culturale il giudizio della giuria si pose
nell’ambito dell’indirizzo consolidato di attribuire pari dignità
all’architettura del passato ed all’architettura del presente che,
oltre ad aver favorito nei secoli passati la costruzione delle
nostre città quali stratificazioni di culture di diversi periodi storici,
anche nel XX secolo aveva dato importanti frutti nell’accostare
edifici contemporanei ad edifici storici, il cui progenitore per
l’architettura moderna è rappresentato dall’ampliamento del
Municipio di Goteborg di E.G.Asplund del 1934-37.
D’altra parte si potrebbe fare un lungo elenco di armonica
compresenza di architetture contemporanee realizzate all’interno
di centri storici, quali ricostruzioni di tessuti distrutti dalla guerra
o addirittura sostituzioni di parti degradate
dell’edificato storico urbano con nuovi manufatti
edilizi.
Il nostro paese, culla dell’Architettura greca,
patria dell’Architettura romana, medioevale,
rinascimentale, barocca, neoclassica, ha vissuto nel secolo
scorso (ed evidentemente sta ancora vivendo) una stagione
di ripiegamento culturale, per effetto del quale risorse anche
importanti della vita intellettuale italiana non sono capaci di
comprendere l’importanza ed il valore della cultura architettonica
contemporanea e della città moderna.
Questo pensiero volto al passato, oltre a impedire l’intervento
architettonico contemporaneo sui tessuti storici delle nostre
città, è un freno anche al comprendere che la città
contemporanea ha medesima importanza della città storica e
che va quindi costruita con cura, qualità, non solo dal punto
di vista architettonico, ma anche con attenzione agli spazi
pubblici ed alle gerarchie urbane (come la qualità dei tessuti
storici delle nostre città dovrebbe suggerire). In definitiva non
è capace di comprendere che la città è costituita dal complesso
di parti storiche, porzioni più recenti, trasformazioni migliorative
del tessuto esistente.
Purtroppo questo pensiero rivolto al passato ha avuto gioco
nella vicenda della ricostruzione del Teatro Galli.
Con una campagna dai toni spesso troppo acuti e financo
offensivi portata avanti da alcuni esponenti di questa cultura
passatista, l’Amministrazione Comunale è stata indotta ad
azzerare il percorso virtuoso iniziato con il Concorso Nazionale
di Idee per il Teatro Amintore Galli e Piazza Malatesta ed a
SEGUE A PAG. 8
architettirimini
acendo un bilancio, allo stato attuale delle cose, sulla
vicenda che ha portato alla decisione di ricostruire la parte del
Teatro Amintore Galli di Rimini distrutta dagli eventi della
seconda guerra mondiale “com’era e dov’era”, ritengo si debba
affermare che rappresenta una sconfitta della Cultura
Architettonica, ed una vittoria della cultura dello storicismo
becero dell’Architettura.
Cerco di articolare quest’affermazione e di spiegarne le ragioni
che, a mio avviso, la sorreggono.
La storia recente della ricostruzione del teatro riminese parte
da un concorso di idee bandito nel 1985, che riguardava oltre
il Teatro, l’assetto della Piazza Malatesta, le altre preesistenze
storiche, quindi il rapporto del teatro con la Rocca Malatestiana
e più in generale con il tessuto edilizio ed urbano di quella
porzione della città. Il bando di concorso considerava il teatro
come un elemento della città, di una città con un tessuto
urbano, economico, sociale in evoluzione, di una città dinamica
nella quale il teatro poteva assumere, nuovamente, una funzione