ArchitettiRimini (2005/2009) N. 1 - colonie - 2005

1 Notiziario bimestrale dell'Ordine A.P.P.C. della provincia di Rimini colonie NUOVA SERIE gennaio / febbraio 2005 Tariffa regime Libero - Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale 70% - DCB Rimini valida dal 25/02/2005 - CONTIENE I.R. architettirimini D opo anni di dibattito, nel corso dei quali gli strumenti di pianificazione regionali (Piano Territoriale Paesistico Regionale), provinciali (Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale) e comunale (i PRG dei Comuni) hanno previsto, prescritto, normato a riguardo del recupero e del riuso del patrimonio delle ex colonie costiere e dei varchi a mare che in parte ancora le caratterizzano, stiamo per affrontare, concretamente, la fase operativa. Buona parte di quel patrimonio, che era di proprietà pubblica, è stato venduto (o lo sta per essere) al privato, e le nuove proprietà sono in procinto di intervenire, con ottica imprenditoriale, per rinnovare e fare fruttare il loro investimento. Città costiera e patrimonio architettonico: condivisione e qualità Ho già avuto occasione di affermare che la città, in quanto costruita dall’uomo, è per sua natura una risorsa rinnovabile; questa risorsa ha a sua volta utilizzato, per nascere, per crescere e per consolidarsi, una primaria risorsa non rinnovabile, il suolo. In una logica generale di sviluppo sostenibile, ed in particolare nella nostra realtà provinciale in cui la quantità di suolo libero da costruzioni è così limitata, la città è un bene collettivo sul quale intervenire a patto di migliorarlo, nella sua funzionalità, nella sua morfologia, nella sua percezione visiva, per il supporto che può fornire in termini di usi alla sua utenza, per le possibilità di efficienza ed efficacia economica, per l’impatto che ha sugli altri sistemi ecologico-ambientali (acqua, aria, energia) e sulla salute e qualità della vita dei cittadini. In poche parole siccome non è più ragionevole continuare ad ampliare i nostri centri urbani a scapito del territorio libero, dobbiamo 3 Sommario 3 5 8 4 2 concentrarci su quello che abbiamo già costruito, e dobbiamo essere in grado di trasformarlo in modo da lasciare a chi verrà dopo di noi una città, un mondo migliore, più sano, più vivibile, più bello, più efficiente. Se mi permettete un commento non formale, in una logica di trasformazione e ritrasformazione dell’esistente, i nuovi edifici che realizziamo, oltre ad avere le alte qualità formali che sono richieste ad ogni singola architettura che contribuisce a costituire il nostro paesaggio urbano, il nostro ambiente collettivo, devono riuscire ad essere i più flessibili possibile, in quanto devono potersi adattare, nel futuro, a funzioni anche molto diverse da quelle originarie, senza comprometterne le M. Zaoli su trasformazione e salvaguardia C. Fabbri, G. Giovagnoli, G. Mulazzani su colonie e città costiera M. Gaudenzi propone una strategia di intervento qualità architettoniche. Tale considerazione vale ancor più per gli edifici esistenti che riutilizziamo e trasformiamo, per i quali le fatiche del progettista, soprattutto se interviene su architetture di consolidato pregio, sono doppie, perché alla difficoltà di pensare al futuro si somma quella di dover interpretare la storia e salvaguardare il patrimonio culturale. Indubbiamente il capitale delle colonie marine e delle aree limitrofe rappresenta da questo punto di vista un sistema da salvaguardare e da utilizzare al meglio. Su questo numero della rivista dell’Ordine hanno spazio diverse opinioni, di chi da almeno due decenni, fin dall’inizio del processo di censimento e di catalogazione, ha lavorato ed approfondito la storia, le vicende, le qualità intrinseche, i valori storico-testimoniali di questo ingente patrimonio, e di chi sta affrontando da progettista il tema del recupero e del riuso di alcune ex-colonie. In particolare la rivista prende in considerazione le cinque colonie per le quali ci si avvicina all’intervento di riuso, con una scheda ognuna, che ne richiama l’anno di costruzione, il progettista, i dati principali. Dal punto di vista del valore architettonico ci troviamo di fronte ad edifici che per dimensione, localizzazione, qualità rivestono un indubbio valore; dal punto di vista urbanistico il recupero edilizio potrebbe essere un’occasione fondamentale, nei diversi casi, per azioni di riassetto territoriale ed urbano. Partendo da Nord: la Colonia Murri potrebbe essere un importante volano per la qualificazione del tessuto urbano di Bellariva, ed a partire dal suo recupero favorire un’ampia attività di ristrutturazione urbanistica ed edilizia di una parte della metropoli balneare più deprivata di servizi e di qualità urbana; il recupero delle due importanti colonie Bolognese e Novarese, e delle aree libere che le circondano, dal mare alla ferrovia, alla statale adriatica, ed oltre fino al sistema fluviale del Marano costituiscono una grande opportunità urbanistica, paesaggistica ed ambientale, questo è infatti uno dei pochissimi varchi liberi che s o l c a n o trasversalmente la conurbazione costiera (che come noto è strutturata per fasce monotematiche parallele alla costa) e attraverso i quali si può riuscire a mettere in collegamento fisicamente e quindi funzionalmente e paesaggisticamente la costa con l’entroterra; tale ambito complesso è una delle porte del territorio riminese, il Piano Territoriale Paesistico Regionale ed il Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale lo segnalano, ma nei fatti della pianificazione urbanistica e della sua attuazione non si è finora riusciti a declinare fino in fondo tale opportunità; - anche la Colonia Reggiana, al di là del suo indubbio valore architettonico, per il suo essere parte del fronte a mare e per la sua posizione in fregio al fiume Marano, potrebbe essere messa a sistema nell’ambito di cui si parlava; - la colonia Enel, più recente ma comunque molto interessante dal punto di vista architettonico, è testata a mare di un vasto ambito inedificato fino alla linea ferroviaria ed oltre, fino alla statale Adriatica, e rappresenta una dotazione territoriale fondamentale. Come potrete leggere negli articoli che accompagnano e commentano le schede, le opinioni a confronto sono diverse, per approccio e per attese nel risultato. Lascio a voi lettori le valutazioni che vorrete fare sui contenuti di questo primo numero della rivista degli architetti e soprattutto sulle prospettive di recupero e di trasformazione delle Colonie Marine riminesi, con un’annotazione: se c’è un elemento che indubbiamente non può che unire le diverse impostazioni sull’intervento in questi ambiti territoriali e su questi edifici è che siamo di fronte ad una delle dotazioni del territorio più importanti che ci rimangono e che quindi dobbiamo utilizzare al meglio le opportunità che ci si pongono innanzi, valutando tutte le alternative possibili. Per lo stesso motivo ritengo che il confronto, il dibattito, la partecipazione, siano fondamentali per compiere la scelta migliore su tale patrimonio che in fondo ha una grande utilità collettiva. Consentitemi ancora: all'interno delle iniziative per il decennale dell'Ordine vogliamo procedere al censimento delle opere contemporanee, al duplice fine di conoscere il nostro patrimonio architettonico e di salvaguardare le architetture di pregio di cui collettivamente disponiamo. La nostra iniziativa è in linea con il nuovo "Codice dei beni culturali e del paesaggio", che estende le categorie di tutela alle opere dell'architettura contemporanea di particolare valore artistico. E' certamente anche a partire dal patrimonio delle colonie, quelle costruite nel dopoguerra, che procederemo a questa attività di catalogazione che impegnerà, voglio pensare, tutti gli iscritti e le commissioni del nostro Ordine. Marco Zaoli le schede di C. Fabbri e N. Pivi Enel PARTNER SENIOR 9 10 11 13 15 15 Reggiana Novarese Bolognese Murri M. Fabbri sui partner del decennale Le colonie e la città costiera “architetture del passato” che ha ormai un capitolo individuato nella questione delle trasformazioni delle architetture moderne. Ma rispetto a quanto codificato nel concetto purista della forma-funzione e dibattuto nel riuso del contenitore, la complessità del progetto pone una domanda: quali criteri e metodologie possibili per salvaguardare o ricreare una uguale armonia fra esterno e interno? Quali soluzioni tecnologiche e funzionali si possono utilizzare nel rispetto dell’organismo architettonico? Ovvero, l’intenzione non dovrebbe essere quella di andare a cercare finti equilibri che potrebbero sembrare consolatori, quanto quella di rintracciare dei nuovi criteri di valutazione, legati al processo edilizio, quali gli studi di compatibilità tipologica, di innovazione tecnologica e di efficienza energetica e di qualità ambientale. Pensiamo al complesso “Le Navi” di Cattolica, realizzato nel 1934 per i “figli degli Italiani all’estero” dall’architetto romano Busiri Vici in forma di architettura marina intesa come flotta in procinto di partire dall’arenile che, prima della riconversione in parco tematico, colpiva per il forte impatto espressivo degli interni, le studiate relazioni tra interno ed esterno e l’accorto disegno delle aperture e dell’illuminazione. Il progetto di riconversione dei fabbricati, nonostante abbia ottenuto l’autorizzazione della Soprintendenza di Ravenna, se all’esterno garantisce la conservazione dei caratteri formali e volumetrici originari dell’opera di Busiri Vici, all’interno nega qualsiasi possibilità di fruizione e di lettura della architettura degli anni ’30. L’intervento di recupero e riuso di una fra le più significative architetture moderne presenti sulla riviera romagnola (ma non solo), trasforma pesantemente l’“organismo architettonico” cancellando irrimediabilmente le sue relazioni formali e spaziali 5 6 ricettive per il turismo giovanile, polo per l’istruzione universitaria, le cui attività di didattica, ricerca e formazione rappresenterebbero un supporto imprescindibile per un progetto di rilancio economico e culturale dell'area riminese. Sembra opportuno segnalare due momenti importanti che hanno segnato il dibattito su questi temi in questi ultimi anni. Il primo è rappresentato dalla “Carta di Rimini per il turismo sostenibile” approvata nel giugno 2001, che riporta importanti linee di indirizzo e possibili scenari quali la costruzione di partenariati attivi per la gestione integrata delle aree costiere, la promozione e il rafforzamento della progettazione e della pianificazione integrata e sostenibile, l’attuazione di azioni specifiche centrate sulla mobilità, la promozione di alternative sostenibili per il turismo stagionale di massa, la gestione ambientale e sociale delle destinazioni e infrastrutture turistiche, il rafforzamento delle attività finalizzate alla sensibilizzazione delle imprese turistiche e dei turisti. In seguito la Provincia di Rimini, nell’ambito di Agenda 21, ha promosso, nel maggio 2003, il primo Rapporto sulla capacità di carico del territorio riminese. La seconda rappresentata dal GIZC (Programma di Gestione Integrata della Zona Costiera) della Regione EmiliaRomagna che affronta in modo integrato le complesse problematiche delle aree costiere, quali ad esempio gli aspetti insediativi, gli aspetti economici (turismo, portualità, pesca, ecc), le forme d’uso del suolo, la mobilità, l’uso delle risorse, le dinamiche costiere (erosione e trasporto solido fluviale), l’eutrofizzazione e la qualità delle acque. Gli ultimi progetti relativi alle colonie marine, in fase di discussione (vedi schede), soprattutto quelli che prevedono l’uso alberghiero non si inseriscono in tali direttive. Sono proposte che risultano estranee a forme decisionali partecipate, né promuovono (almeno per le colonie di proprietà pubblica) concorsi di idee e d i progettazione a sostegno di una più alta qualità nella progettazione. Sembrano elaborazioni già superate e poco innovative se riferite al dibattito di questi giorni in cui sono sempre più condivisi obiettivi di sostenibilità quali il ridimensionamento delle previsioni urbanistiche, la riconversione e la demolizione degli alberghi fuori mercato, l’alleggerimento edilizio a favore di servizi e verde. Prima ancora degli alberghi o di altre strutture edilizie le colonie marine, prima elementi significativi nella nascita e sviluppo turistico della marina poi presenze del tutto marginali e passive negli anni ‘60/’90 (fabbricati da demolire o inutilizzati in attesa di funzioni economicamente redditizie), oggi devono essere considerate parti importanti in una prospettiva di rilancio del modello turistico romagnolo, in cui l’innovazione è costituita dal perseguimento della sostenibilità, intesa come uso attento delle risorse disponibili, controllo della capacità di carico del territorio, riequilibrio delle condizioni economico-sociali. Claudio Fabbri Gianfranco Giovagnoli Giovanna Mulazzani [1] Nella Variante del Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale di Rimini del 2001 la normativa relativa alle colonie d’interesse storicotestimoniale di complessivo pregio architettonico (tipo A1) è stata modificata, prescrivendo, quali modalità d’intervento, una generica coerenza “ai criteri e i metodi del restauro finalizzati a mantenere l’integrità materiale, ad assicurare la tutela e conservazione dei valori culturali e la complessiva funzionalità dell’edificio, nonché a garantire il suo miglioramento strutturale in riferimento alle norme sismiche”. [2] Una delle ipotesi perseguite da diversi progettisti, nel passato e nel presente, è quella che nel caso di manufatti con tipologia a corti aperte (Murri e Bolognese ad esempio) la previsione di nuove volumetrie possa essere attuata mediante la saturazione edilizia delle medesime corti, con alterazione irreversibile della originaria tipologia, dei prospetti e delle relazioni con gli spazi esterni. 7 8 S empre più frequentemente, seppur con un ritardo endemico che accomuna tutti gli interventi italiani, le colonie stanno diventando argomento di progetto per amministrazioni locali, imprenditori e progettisti. Come sempre quando si tratta di progetto su materiale esistente si innesca un dibattito su ciò che è corretto conservare e su ciò che è conveniente trasformare anche con la totale sostituzione, e sugli usi che possono ragionevolmente essere proposti. Come sempre le posizioni si articolano in modo diverso a seconda delle provenienze culturali, di quelle di differenti portatori di interesse, di quelle politiche e di quelle puramente gratuite. “facciamo piazza pulita” della maggioranza di queste costruzioni molto spesso brutte e ormai alla fine della loro vita e funzione: salviamo solo quelle che sono esempio di ottimo progetto, di intenso, originale e curioso rapporto con il luogo, liberiamo gli spazi che occupano accorpandone i volumi o spostandoli in alcuni casi su altri terreni e luoghi, cogliamo l’occasione per sviluppare una attività efficace e coraggiosa che riesca a coniugare il valore immobiliare con quello dell’ambiente e con quello della grande impresa turistica che è patrimonio economico e culturale della Romagna. Classificazione e normativa, come sempre opinabili e perfettibili, si misurano ora con le reali istanze di intervento generate finalmente dal fatto che il mercato immobiliare in questo specifico settore si è attivato ed ha portato operatori privati locali e non ad essere protagonisti della trasformazione e del riutilizzo delle strutture. L’attivazione di queste istanze come sempre mette in luce una serie di contraddizioni e trova frequentemente impreparate le amministrazioni locali sottoposte a richieste di cambiamento della destinazione d’uso, o di elusione più o meno velata delle norme ecc. Gli interventi oltre a questo innescano anche discussioni o movimenti di opinione soprattutto quando le trasformazioni proposte sono di tipo radicale anche quando le norme lo consentono. Il caso della colonia Enel di Riccione di cui ci siamo occupati come progettisti, ne è un esempio: si può secondo le norme procedere ad una sua radicale ristrutturazione, allo stesso tempo il nostro stesso Ordine degli Architetti ne mette in discussione la possibilità, cosa del tutto legittima in termini personali di cittadino od architetto ma sicuramente “discutibile” come posizione di un ordine professionale nel momento in cui la cosa non sia valutata e condivisa da una assemblea visto che di autorità e norme regolatorie nel settore che ci riguarda ce ne sono già a sufficienza. Questo esempio per sottolineare il fatto che la posizione di noi architetti dovrebbe essere, nell’approccio alle problematiche suddette, di tipo “scientifico”. Se siamo in grado di sostenere che un certo immobile va conservato ad esempio dobbiamo sicuramente essere in grado di dire che cosa ne facciamo, come lo utilizziamo all’interno di una compatibilità tecnico-economica che sicuramente ci compete. Dobbiamo leggerlo nella sua attualità e conoscere il suo Catalogazione del moderno, una strategia di intervento SEGUE A PAG. 7 che identificavano una fortissima connotazione progettuale e compositiva. Insieme ad azioni che tutelino i caratteri architettonici risulta altresì importante individuare una continuità progettuale riferita alle componenti relative agli aspetti tecnologici e climatici che si ritrovano in questi edifici secondo fini energetici, ecologici ed ambientali. Infatti questi edifici rappresentano una grande opportunità per sperimentare interventi che producano basso consumo energetico, ridotte emissioni inquinanti, corretto utilizzo delle acque e contenimento nei rifiuti, relativamente al processo edilizio e al contesto più generale dell’area. In questa fase, in considerazione soprattutto degli esempi negativi di recupero e riuso delle colonie, prima di procedere con la predisposizione di nuovi progetti, si dovranno ridefinir e le azioni, le norme e i criteri operativi, contenuti negli strumenti di pianificazione territoriale e urbanistica, che salvaguardino i caratteri tipologici originari di tali architetture, le corrispondenze tra interno ed esterno, la tutela dei partiti decorativi e formali. Le colonie marine non costituiscono solo un patrimonio edilizio da recuperare per le ragioni sin qui evidenziate in un panorama costiero di bassa qualità edilizia e di ridotto valore architettonico, ma si distinguono, con i loro ambiti di pertinenza, come gli unici punti di discontinuità, di interruzione della conurbazione turistico-costiera, contraddistinta dalla moltiplicazione all’infinito dell’unità edilizioalberghiera con servizi di base poco qualificati e con una ormai superata e insufficiente infrastrutturazione. Ampie aree di pertinenza, importanti presenze vegetazionali, residuali elementi morfologici costieri, rappresentano oggi gli unici ambiti di diversità e di valore ambientale lungo il massiccio e pesante nastro di cemento senza qualità della costa riminese. Se la città costiera evidenzia i suoi attuali limiti di sviluppo economico, insediativo e ambientale, nelle criticità e nelle problematiche connesse alla forte antropizzazione, all’eccessivo consumo di suolo, alla rilevante congestione, alla elevata stagionalizzazione, risulteranno inefficaci (incremento di entropia) le proposte che ripropongono, su queste aree, modelli (in crisi) incentrati ancora sulla crescita dell’unità alberghiere. L’evoluzione del dibattito sulla riqualificazione urbana e ambientale della costa, che in questi ultimi anni ha coinvolto istituzioni, imprese, associazioni, università, cittadini, rileva la necessità di nuovi approcci e nuovi strumenti analitici, volti a risolvere i nodi critici attuali: la ricognizione, catalogazione e la tutela delle colonie e delle relative aree di pertinenza così come è avvenuto sino ad oggi non sono sufficienti; occorrono strategie e strumenti di valorizzazione e di salvaguardia di questo patrimonio edilizio e ambientale. Per tali ambiti risulta necessario selezionare funzioni rare e innovative, in grado di promuovere la diversificazione turistica, il miglioramento e l'integrazione dell’offerta ricettiva, ma anche riqualificare la città invernale, elevare la dotazione di attrezzature collettive e la qualità urbana: luoghi, a scala regionale o subregionale, di produzione, promozione e consumo di eventi culturali, centri di servizio e di formazione dell'impresa turistica, iniziative Le colonie e la città costiera SEGUE DA PAG. 6 PARTNER JUNIOR L’ importanza delle colonie della costa romagnola è costituita dal ruolo storico-insediativo e dalla qualità architettonica e tipologica delle prime e, nel complesso, dal valore strategico delle relative aree di pertinenza nei processi di riconversione funzionale e di riqualificazione urbana e turistica della costa. Purtroppo oggi questo patrimonio versa in condizioni di degrado, è oggetto di diversi interventi di abbattimento, di riusi non oculati, raramente di recuperi qualificati. Le colonie d’interesse storico-testimoniale costituiscono punti di eccellenza in un panorama costiero caratterizzato da scarsa qualità formale ed eccessiva ripetitività volumetrica, documentando la pluralità dei linguaggi sia di derivazione ecclettico-storicistica quali Sanatorio Comasco (1907), Murri (1912), Patronato scolastico (1926), Forlivese (1930), Bolognese (1934) di Rimini, F.Baracca (1926) e Veronese (anni ’20) di Cesenatico, Centro Climatico Marino (anni ’30) di Cervia, novecentista quali Ferrovieri (1930) di Igea Marina, Ferrarese (1932) di Cattolica, Croce Rossa (1933) di Marina di Ravenna, che delle avanguardie del novecento, esprimendo il rigore funzionalista e igienista del razionalismo quali Novarese (1934) di Rimini, Reggiana (1934) e Dalmine (1936) di Riccione, Agip (1938) di Cesenatico, Montecatini e Varesina (1939) di Milano Marittima, o le allegorie formalistiche del futurismo quali Le Navi (1934) di Cattolica. Anche l’ENPAS di Cesenatico e l’ENEL di Riccione, costruite nei primi anni ’60, costituiscono architetture di qualità per la complessità ed articolazione degli spazi interni ed esterni e per le quali risulta necessario attivare specifiche forme di tutela e valorizzazione. A fronte di indirizzi e proposte anche articolate elaborate in questi anni permane negli operatori turistici e immobiliari, come nelle amministrazioni pubbliche, una scarsa attenzione [1] alla qualità originaria del manufatto che anche oggi spesso viene inteso come immobile da sostituire o in altre ipotesi (anche del presente) viene letto come volumetria da associare a nuove addizioni invasive [2], del tutto strumentalmente connesse alle parti originarie, talvolta mortificate nei propri caratteri architettonici, ad eccezione di alcuni casi di pregevoli recuperi per usi scolastici (Patronato scolastico e Forlivese di Rimini, F. Baracca di Cesenatico). Non risulta ancora sviluppata sufficientemente un’analisi attenta all’approfondimento dell’oggetto edilizio-architettonico su cui si interviene al fine di rendere compatibili le nuove esigenze funzionali con le peculiarità tipologiche e spaziali di questi edifici. Spesso la parola più usata nei dibattiti inerenti il riuso di edifici storici tra cui le colonie, é “contenitore”: le colonie sono percepite come contenitori da riutilizzare. Ma vi è una sorta di insidia nell’uso del termine che giustifica, proprio per la sua accezione, approcci che tendono a trascurare completamente il rapporto esterno-interno di questi edifici. Il contenitore, inteso come vuoto volume a disposizione dei progettisti “permetterebbe” (ecco l’insidia) di vanificare quello che la sperimentazione architettonica degli anni venti-trenta aveva assunto come assioma principale e che costituisce la forza architettonica di questi edifici: la grande armonia esistente tra i volumi e la distribuzione funzionale dell’interno; la perfetta corrispondenza tra le forme dell’esterno ed i caratteri dell’interno. Allora sarebbe utile riflett ere su come impostare progettualmente il riuso del contenitore. Da questo punto di vista il tema, in apparenza semplice e delimitato, è racchiuso in quello più ampio del riutilizzo delle Il modo di affrontare il valore storico-testimoniale delle colonie come patrimonio si misura con il valore immobiliare delle stesse come patrimonio economico e in questo caso con il valore dell’ambiente-territorio limitato anch’esso ed anch’esso patrimonio. Gli studi e le ricerche fatte in sede regionale, in quella della sovrintendenza ed in vario modo in sede locale hanno portato ad un certo stato la classificazione e la espressione normativa, che indirizza il riutilizzo dei volumi delle colonie al turismo (sia nella sua funzione di ricettività che nella funzione dei servizi), alla loro conservazione o ristrutturazione più o meno radicale od al loro integrale spostamento in altra sede. Prese nel loro insieme e sicuramente nei punti di aggregazione più intensa verrebbe da dire con buon senso possibile futuro, e se pensiamo che debba essere una pura testimonianza, tale testimonianza deve avere un valore tale da essere in grado essa stessa di movimentare le risorse per la sua conservazione. Se noi per primi non crediamo in una trasformazione virtuosa del territorio attraverso l’architettura e diventiamo conservatori ad ogni costo possiamo sicuramente batterci con abilità anche solo per conservare il pollaio del nonno senza offesa per il nonno. A mio avviso quindi dobbiamo noi per primi individuare le destinazioni d’uso più adatte alla trasformazione degli immobili mettendo in gioco la nostra competenza che non può prescindere dalla conoscenza delle innumerevoli esperienze che l’architettura moderna sta sperimentando in ogni parte del mondo. Competenza che, applicata con una finalità propositiva e non dedicata alla speculazione immobiliare pura, consenta agli operatori di scegliere nuove ipotesi di impiego, di sperimentare forme di aggregazione finalizzate alla erogazione di servizi complessi o di trasformare le tradizionali attività turistiche che costituiscono il sistema produttivo delle nostre aree, in accordo con le amministrazioni locali. In questa ottica non è sicuramente nostro compito ergersi a paladini per esempio del fatto che sui nostri territori si è costruito troppo senza valutare che solo le nostre città storiche sono un esempio di concentrazione ben maggiore di cui siamo strenui difensori e senza conoscere il dato che una città come Parigi ha una maggior concentrazione volumetrica di NewYork. Dobbiamo sapere, proprio perché abbiamo studiato, che la concentrazione e la complessità sono elementi che l’architettura virtuosa trasforma in qualità. Dobbiamo essere in grado di anticipare e seguire la trasformazione che è alimento vitale e non organizzarci per impedirla se non nei casi in cui si presentino situazioni di palese inciviltà. Marco Gaudenzi L’IMMAGINE IN QUESTA PAGINA È UNA ELABORAZIONE GRAFICA DI UN FOTOMONTAGGIO REALIZZATO DA C. FABBRI, G. GIOVAGNOLI E G. MULAZZANI